Troppe vacanze fanno male. Il ministro Poletti suggerisce di scaricare cassette di frutta ai mercati .
di Rossella Manzo · 24 marzo 2015
Già Albert Einstein, che certo di relatività se ne intendeva, diceva che il tempo è un concetto relativo e che il suo valore è dato unicamente da ciò che facciamo mentre sta passando. Tre mesi di vacanza, ad esempio, ci sono sempre sembrati un tempo esiguo quando, dopo tanta attesa, finalmente arrivava giugno e già in un lampo si ritornava sui banchi a settembre. Tre mesi di vacanza sembrano troppi al ministro Poletti che condanna l’improduttività dei giovani, in questo caso giovanissimi. La proposta di ridurre le vacanze estive si inserisce nel più ampio progetto di riforma meglio conosciuto come “la buona scuola”, che tutti conosciamo più come hashtag che come disegno di legge. “I miei figli d’estate sono sempre andati ai magazzini della frutta a spostare le casse, non credo che ad un ragazzino farebbe male, invece di stare a spasso per le strade della città, andare a lavorare 4 ore”, avrebbe detto il ministro. La sua tesi è stata sostenuta anche dal ministro Giannini che, da Madrid, avrebbe rincarato la dose dicendo che fare esperienza di lavoro durante la scuola è utile per diminuire la dispersione e facilitare l’inserimento immediato nel mondo del lavoro. Del resto quella di piegare le esigenze della scuola a quelle del presunto lavoro, che in Italia pur essendo laureati e specializzati è ancora difficile trovare, è una tendenza che emerge chiara già dalle prime battute del già citato ddl. Quando si visita la pagina labuonascuola.gov.it, oltre a non essere chiaro se si è entrati in una pagina istituzionale oppure nel blog di ricette della nonna Pina, salta subito all’occhio il riquadro 5 intitolato “scuola fondata sul lavoro”. Si parla di scuola come strumento per combattere la disoccupazione, di “early leavers” in una sempre crescente disaffezione alla lingua italiana che quando si parla di scuola stride più che mai, di concetti astratti come la trasformazione dei laboratori in “palestre di innovazione che stimolino le capacità di problem solving”. In un contesto sociale ed economico dove il problema legato al lavoro che manca è sempre più cogente e disperato, se c’è un ambito dove questo aspetto non dovrebbe affatto penetrare è forse la scuola. L’istruzione è davvero lo strumento più potente di rinnovazione sociale di cui disponiamo, per questo non può essere anche il mezzo attraverso il quale risolvere il problema della mancanza di lavoro. Una buona istruzione può far sì semmai che si formino degli individui più consapevoli e completi, che possano guidare una profonda rinnovazione della classe politica, assicurandoci dei rappresentanti e dei governanti capaci di tirarci fuori dal problema occupazionale. Perché ciò avvenga l’apprendimento deve essere libero da condizionamenti e da visioni utilitaristiche, imparare solo per il valore riconosciuto all’esigenza di imparare. In quest’ottica di apprendimento non strumentale se non all’apprendimento stesso, le vacanze estive segnano un momento fondamentale nella vita dei ragazzi. La loro fine, perché ci si iscrive all’università o perché si inizia a lavorare, segna l’ingresso in una nuova fase della vita, adesso piena di impegni calzanti e di responsabilità. Rimane il ricordo di quel tempo lento che non si ritroverà più, di quella fase della vita che era prevalentemente contemplativa più che attiva, in cui si aveva la preziosa possibilità, tanto contestata dal ministro Giannini, di ciondolare per le strade senza meta apparente e fare di quel momento apparentemente inutile, un ricordo di cui si apprezzerà il valore solo col tempo. Del resto, diceva Ruskin, vi fu sempre nel mondo assai più di quanto gli uomini potessero vedere quando andavano lenti, figuriamoci se lo potranno vedere andando veloci.