UN’EUROPA BICEFALA GUIDATA DA FRANCIA E GERMANIA TRATTERA’ LE SORTI DELLA GRECIA
Impossibile immaginare a caldo le conseguenze del “no” della Grecia alle condizioni poste da Ue, Bce e Fmi per una nuova tranche di prestiti finalizzata al risanamento.
Gli sviluppi sui mercati, sugli spread e sulle finanze pubbliche dei Paesi derivanti dal voto al referendum greco di domenica scorsa non si potranno che scoprire giorno per giorno, in base anche alle decisioni politiche della Ue.
Alcune considerazioni, però, si possono trarre. In primo luogo, l’esito del referendum chiarisce che la questione si è spostata (ma forse lo è sempre stata) decisamente sul piano politico. Su quello finanziario, una volta che gli Stati hanno garantito i privati (le banche) di essere ripagate, è evidente che le politiche della Troika hanno prodotto solo l’aumento degli interessi sul debito pubblico greco, che i creditori pretendono siano garantiti con la riduzione della spesa statale greca per stipendi, prestazioni sociali, pensioni e sanità, deprimendo l’economia: in sostanza, si impone di destinare la spesa greca solo al pagamento degli interessi. Questo può funzionare solo se la garanzia sul debito, che la Grecia non ha mai voluto negare, sia diluita nel tempo in modo che il Paese non si strozzi e possa comunque destinare risorse alla crescita. La ricetta imposta dal rigorismo teutonico di deprezzare il valore del lavoro e del welfare come alternativa alla svalutazione della moneta non vale più. Ma, si ribadisce, prenderne atto è una scelta politica.
In secondo luogo, la convocazione dell’Eurogruppo partita di imperio da Germania e Francia, che lunedì si riuniscono in un incontro bilaterale, fa capire realmente cosa sia l’Ue e chi comanda davvero. L’egemonia della Germania soprattutto e della Francia è ormai conclamata. Le istituzioni europee si confermano solo vassalli del Sacro Romano Impero franco-tedesco, strumenti tecnocratici per coprire burocraticamente scelte politiche dei due Paesi dominanti. E’ evidente che le decisioni dei due, adottate il 6 luglio, influenzeranno Eurogruppo e altre istituzioni europee, convocate dopo e per date successive.
In terzo luogo, l’Italia, ad opera del suo premier, ha sbagliato ad esporsi troppo nel suo filogermanismo. Renzi sperava in una vittoria secca del “sì” in Grecia. Ma ha sbagliato previsioni. Ora rischia di essere isolato totalmente dalle forze socialiste e di sinistra non soggette alla pressione politica tedesca ed è costretto a chiedere una terza via tra l’uscita della Grecia dall’Euro come vendetta-sanzione per la troppa “autonomia”, e l’ipotesi di una Grecia che resti nell’Euro, ma a dettare le proprie condizioni, con una Germania che risulterebbe clamorosamente sconfitta e che difficilmente non farebbe pagare alle altre Nazioni dell’Ue, per prime quelle più deboli e indebitate, e dunque con l’Italia in prima fila, il conto eventuale della scelta.
In terzo luogo, si dimostra possibile che un popolo possa eleggere un proprio leader democraticamente e che possa anche pronunciarsi direttamente su questioni che riguardano direttamente il proprio destino. Senza manovre di Palazzo, senza la creazione di senatori a vita poste a modificare senza elezioni governi e maggioranze, senza esiti elettorali stravolti da premi di maggioranza spropositati, senza larghe intese imposte a tavolino contrastanti con le indicazioni degli elettori, senza ulteriori manovre di palazzo che insedino premier che non hanno mai ricevuto il consenso elettorale. Senza, insomma, il paternalistico commissariamento da parte delle istituzioni europee (ma, soprattutto, della Germania). Insomma “sbattere i pugni” o quanto meno chiedere ed ottenere dall’Europa un diverso modo di gestire e programmare si potrebbe.
Che bello sarebbe se l’Italia potesse disporre della presidenza di un semestre europeo per poter far valere tutto ciò. Peccato che quel semestre lo abbia avuto, ma sia passato via come l’acqua di un ruscello sulle rocce.