UN GOVERNO “COSTITUENTE” PER UNA RIFORMA DI PARTE
di LUIGI OLIVERI
Una campagna referendaria ridotta a meri espedienti propagandistici. L’intento del Governo (che pure dovrebbe del tutto disinteressarsi da una materia che non rientra nelle competenze dell’esecutivo) è palese: utilizzare l’occasione del referendum sulla riforma della Costituzione per parlar d’altro, semplificare, ma confondere al tempo stesso.
La prima parte dell’operazione è stata avviata tempo fa ed è nota: si tratta della “personalizzazione” dell’esito del referendum, qualificato come un plebiscito pro o contro il premier, intenzionato ad utilizzare il referendum come simulacro di un consenso che non ha mai ottenuto alle urne.
Questo intento è risultato fin troppo scoperto e, in parte azzardato. I risultati del referendum sulle trivelle, pur non avendo ottenuto il quorum, hanno svelato che una c’è quantità di elettori (quelli che votarono sì) tendenzialmente propensa a bocciare la riforma della Costituzione, ben superiore al numero di voti che il PD ottenne alle famose europee del 2014. La politicizzazione e personalizzazione del voto, dunque, polarizzando troppo l’elettorato, a meno di non rispolverare tra qualche tempo un’alleanza tra Renzi e Berlusconi, mette a forte rischio la vittoria per il sì alla riforma costituzionale.
Quindi, in questi giorni la campagna ha mutato parzialmente l’obiettivo e si è trasformata in un messaggio estremamente semplificato: “l’Italia del sì”, contro “l’Italia del no”.
Un espediente retorico antichissimo: connotare di contenuti positivi appunto l’espressione affermativa sì, come l’unica moderna, volitiva, volta al futuro e al cambiamento, anch’esso affermato di per sé come valore, e, al contempo dipingere a tinte fosche il “no”. Sicchè, il voto “no” al referendum dovrà apparire come un atto di chi vuole conservare ad ogni costo, ostacolare, fermare il “cambiamento”, preservare la “casta”.
Strano. Come rilevato sopra, molti di quelli che presumibilmente a ottobre voteranno “no” sono quelli che ad aprile hanno già votato “sì”.
Il problema non è, come si nota, la particella affermativa o negativa con la quale si risponde alla domanda, bensì la domanda. Nei referendum abrogativi, si chiede all’elettorato se intenda abolire una certa norma; l’effetto abrogativo si ha se vince il sì. Nei referendum confermativi si chiede all’elettorato se intenda dare efficacia ad una legge costituzionale già approvata dal parlamento: chi non condivida tale legge non può che votare no. Ma la domanda poteva anche essere posta in termini diversi: “volete voi che la legge costituzionale non entri in vigore?” e la risposta sarebbe stata sì, per evitare la riforma.
Il fatto è che la propaganda governativa sta compiendo ogni sforzo pur di non parlare del merito della riforma. Quando va bene, si sfiorano e solo per slogan alcuni temi: si dice che si elimina il Senato (che invece resta, ma sarà pieno di nominati di regioni e comuni), si afferma che non vi sarà la duplice lettura delle leggi (che invece resta e anzi si complica, perché l’articolo 70, che regola l’iter delle leggi passa da 9 parole a oltre 400 per regolare circa 10 procedimenti legislativi differenti), si dice che si risparmia spesa pubblica, perché si elimina il Cnel (la cui spesa è pari allo 0,002% del totale della spesa pubblica).
In effetti, tuttavia, uno dei vulnus più gravi di questa riforma è che essa coinvolge oltre un terzo dei 139 articoli della Costituzione. Non è una semplice legge costituzionale. L’articolo 138 della Costituzione, che consente di approvare leggi costituzionali di riforma della Carta, non era certamente stato pensato per leggi di portata così ampia, tali da realizzare non una riforma, ma da dare come risultato una vera e propria Costituzione “nuova”.
Non che questo non sia possibile. Ma, allo scopo, vi sarebbero dovuti essere presupposti invece del tutto assenti: una campagna elettorale nella quale i partiti avessero presentato un programma di riforma della Costituzione ben definito e, soprattutto, così da delineare un preciso mandato riformista che, invece, in questa legislatura, nata nel 2013, assolutamente non c’era. E, poi, il presupposto fondamentale: la piena rappresenatività del popolo sovrano, negata, invece, dal “Porcellum”, cioè la legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Consulta, che ha alterato gli esiti delle elezioni del 2013, costruendo, col suo premio, una maggioranza artificiale, che ha consentito al PD di approvare la riforma della Costituzione da solo alla Camera, e con puntelli sempre cangianti al Senato.
Ma, questi elementi di ragionamento, fondamentali per la comprensione di una riforma troppo ampia per poter essere davvero compresa, si pretende stiano sullo sfondo di rappresentazioni semplicistiche, volte a parlare alla pancia delle persone, vellicata in questi giorni da promesse, bonus e contro bonus sempre multipli di 80.