TRA ELEZIONI E REFERENDUM LA SCOMMESSA DEL GOVERNO
di Luigi Oliveri
Le riforme e la loro possibile deriva autoritaria non debbono essere valutate solo mediante l’indispensabile analisi tecnica del loro contenuto, ma anche in relazione al modo col quale chi le attua si rapporta alla democrazia ed alle relazioni tra istituzioni, maggioranza, opposizione e cittadini.
Sotto questo aspetto, le dichiarazioni rilasciate a Sky dalla Ministra Boschi lasciano ben poco tranquilli e finiscono per alimentare tutti i dubbi ed i timori su una possibile svolta autoritaria legata alle riforme in atto.
La titolare del ministero delle riforme ha esternato due affermazioni molto gravi. La prima, riguarda le elezioni a Torino, in merito alle quali ha evidenziato che laddove dovesse vincere la candidata di M5S, il capoluogo piemontese potrebbe perdere 250 milioni di finanziamenti del Governo.
Sembra proprio che la Boschi, e probabilmente con lei gran parte della direzione del partito cui appartiene e verosimilmente molti aderenti ed iscritti che non hanno battuto ciglio, intenda l’azione del Governo e della maggioranza parlamentare in modo diametralmente opposto a quanto stabilisce la Costituzione e pretende la logica. Non, cioè, a servizio della Nazione, a prescindere dall’adesione prestata da famiglie ed imprese a questa o quella maggioranza che si dovrebbero alternare nel gioco democratico, bensì a servizio di istituzioni, famiglie ed imprese che siano allineate, meglio dire “dalla stessa parte”, se non totalmente organici al partito di maggioranza.
Solo una simile visione, certamente distorta, della democrazia e dei ruoli istituzionali può far pensare che finanziamenti statali ad una città come Torino possano dipendere dal colore politico del sindaco pro tempore e non, invece, da reali esigenze programmate prima e rilevate, poi.
Si tratta di una visione che, indirettamente, conferma i sospetti che la valanga di denaro profusa a Napoli dal Governo avesse scopi essenzialmente elettorali, vanificati, per altro, dall’estromissione al primo turno della candidata del PD.
In ogni caso, è una visione del Governo settaria e lottizzatoria, che pretende di dividere i cittadini in serie A e serie B: i primi sono quelli che aderiscono al partito di maggioranza o che vivono in città amministrate dal partito e che, dunque, possono aspirare a maggiori investimenti e diritti; in serie B vanno tutti gli altri. Un modo di intendere la politica proprio di ogni totalitarismo che confonde le istituzioni con i partiti, anzi col partito che le occupa.
La seconda affermazione, non meno grave della prima, concerne l’idea secondo cui se Renzi deve dimettersi qualora al referendum confermativo sulla riforma della Costituzione vincesse il no, simmetricamente, allora, anche esponenti delle opposizioni che sostengono il no dovrebbero dimettersi, laddove vincesse il sì.
E’ un ragionamento del tutto privo fondamento. In primo luogo, nessuno ha chiesto al premier di dimettersi nel caso vinca il no, né ciò è previsto dal nessuna legge. E’ stato, invece, come a tutti noto, lo stesso premier a voler trasformare il referendum in un plebiscito, legando, impropriamente e in modo scorretto sul piano istituzionale, gli esiti del referendum stesso a quelli del Governo.
In secondo luogo, è davvero paradossale che un’esponente della maggioranza e del Governo possa indirettamente chiedere le dimissioni di componenti dell’opposizione in esito al referendum: da cosa si dovrebbe dimettere chi non ha alcuna carica, né si è fatto promotore delle “riforme”? Dall’essere opposizione?
Sembra proprio che i fari accesi e l’incalzare dell’intervista abbiano giocato un brutto scherzo alla Ministra, che si è lasciata scappare, indirettamente, il desiderio di una sorta di autoleminazione delle opposizioni, che dovrebbero dimettersi dal nulla, poiché non hanno cariche di governo, laddove la maggioranza in Parlamento trovasse rispondenza dei propri intenti di riforma nella maggioranza dei cittadini, cosa che sarebbe perfettamente normale accadesse, posto che la maggioranza sia davvero capace di interpretare la volontà dei rappresentati.
Questa sorta di ordalia o scommessa sul referendum costituzionale l’ha pertinacemente voluta la maggioranza un po’ composita che l’ha votata e, certamente, in prima battuta la Ministra Boschi. Rischi di dimissioni o forzature come quelli che la stessa Ministra oggi propone potevano essere eliminati provando, per esempio, a coinvolgere di più le opposizioni e ad ottenere la votazione dei 2/3 del Parlamento, invece che attaccarsi alla stampella precaria di forze parlamentari che nel Paese a stento arrivano all’1%, pretendendo, poi, che le opposizioni, laddove perdessero come sarebbe normale debbano dimettersi.
Sembra una voglia molto evidente di partito-Stato, di annullamento di ogni voce dissonante, di libertà assoluta di imporre volontà di partito non solo in favore di un progetto di bene e comune, ma anche e talvolta soprattutto “contro” i “gufi”.