SLOGAN E TELEGENIA NON FANNO GOVERNO LA CRISI DEI 5 STELLE
di Luigi Oliveri
Ciò che ha fallito non è certo la Raggi, che ancora non ne ha avuto il tempo, ma un certo modo di intendere la politica a 5 stelle.
Sicuramente l’avvio dell’amministrazione capitolina è caratterizzato da una serie clamorosa di inefficienze ed errori. Tuttavia, se si guarda alla sostanza, questi errori non riguardano direttamente la concreta gestione e scelte amministrative operative, ma la politica in una delle sue peggiori accezioni: le nomine, gli incarichi, le poltrone.
Le prime scelte politiche ed amministrative, sulle quali poter concentrare una seria valutazione della capacità di governo che tutti danno per presupposto come assente nel Movimento 5 Stelle non si sono viste. A parte la scelta, ancora da confermare, del no alle Olimpiadi: una decisione, questa, se realmente adottata che, per altro, apparirebbe da apprezzare per coerenza col programma e da considerare meritevole, in quanto scongiurerebbe all’Italia un salto nel buio degli immensi debiti cagionati da questa kermesse, una delle cause prime – non dimentichiamolo – dell’esplosione della situazione economica in Grecia. I “grandi eventi” non aiutano affatto il Pil di una nazione. La dimostrazione vivente è data dall’Expo di Milano: i dati economici di questi giorni dimostrano che la crescita tendenziale del Pil nell’anno, se andrà bene sarà dello 0,8% contro le previsioni governative dell’1,4%, la produzione industriale è a picco, il consumo è ancora a livelli del 2013, il lavoro rimane comunque bloccato con un numero di occupati e disoccupati sostanzialmente stazionario, variabile solo in relazione a flussi congiunturali, nonostante Jobs Act ed incentivi a pioggia a profusione.
Cosa, allora, non ha davvero funzionato nell’idea di politica stessa del Movimento 5 Stelle?
Radicalismo. In primo luogo, come era facile prevedere, il radicalismo delle prese di posizione e la pretesa di ergersi a censori degli altri. Il Movimento impone trasparenza assoluta, moralità specchiata, rispetto della verità. La opaca gestione della situazione dell’assessore Muraro, che sapeva, come la Raggi e come Di Maio, di essere indagata e non lo ha detto subito dimostra che il radicalismo è impossibile da attuare e che nel rapportarsi con gli oppositori e “gli altri”, occorre essere capaci di distinguo, prudenza e ponderazione.
Scontrini. Un altro elemento considerabile sicuramente andato a vuoto e fuori bersaglio è la “guerra santa” contro i “costi della politica”. Gli “scontrini” hanno occupato larghissima parte dell’attività del Movimento che, nel caso di specie, è anche stato in grado di dettare l’agenda politica, inducendo Parlamento e Governo ad approvare norme come il decreto sulla trasparenza o ad impegnarsi sulla riduzione delle auto blu.
Di fatto, tuttavia, la normativa sulla trasparenza come si nota non è in grado di fermare l’opacità nello stesso Movimento 5 Stelle, non fa da argine al lobbismo (vedi la condanna alla Menarini, azienda che supporta apertamente il premier), ha creato sostanzialmente un’immensa burocrazia, senza aumentare di molto la conoscenza dei fatti per i cittadini.
Gli scontrini sono passati completamente, ormai, in secondo piano e dell’autoriduzione di indennità e gettoni di presenza delle giunge e dei consigli comunali non se ne accorge nessuno, perché i “risparmi” generati sono irrisori e non utili per alcun fine.
Se l’economia si potesse raddrizzare pubblicando scontrini o riducendo le autoblu, la situazione del Pil e della crescita economica sarebbe ovviamente un’altra.
Province. Un altro fallimento conclamato del Movimento è l’altra “guerra santa” alle province. Anche in questo caso il Movimento ha dettato l’agenda politica, ma se l’è fatta sottrarre dall’attuale premier, che si è intestato la riforma ed un “abolizione” solo presunta come tale dalla stampa, mentre in realtà le province sono rimaste, ma strozzate da una modifica della finanza che le manda dritte verso il dissesto. Senza che questa riforma abbia influenzato in modo minimamente positivo l’economia: alle province la riforma scippa 3 miliardi l’anno, ma non vi è stata nessuna simmetrica riduzione di spesa pubblica (i 3 miliardi sono spesi dallo Stato invece che dalle province) né di tasse. Invece, le strade provinciali sono diventate mulattiere e le scuole superiori sono prive di manutenzioni serie da due anni.
Reddito di cittadinanza. Anche questo argomento tiene campo, ed anch’esso è stato in qualche misura, riduttiva, “scippato” al M5S dal Governo, con la manovra degli 80 euro, che produce solo una spesa di 10 miliardi l’anno, senza generare alcun beneficio sui consumi e la ricchezza nazionale, mentre aumenta il debito, perché finanziata in deficit.
Sono questi gli elementi che dimostrano la crisi di un modo di intendere la politica come slogan, la pretesa di disporre di soluzioni facili per problemi difficili, la contrapposizione e la convinzione che la “bravura” dei leader coincida con la capacità di sforare il video.