RISPETTO PER IL PARLAMENTO MA ANCORA PIU’ RISPETTO PER LA COSTITUZIONE
di Luigi Oliveri
Le affermazioni dei giorni scorsi del Ministro delle riforme, Boschi, e del premier Renzi in merito all’opportunità di votare “sì” alla riforma della Costituzione nel prossimo referendum sono proprio il sintomo di una lettura e visione dell’ordinamento che si allontana parecchio da una concezione della politica come spazio per la formazione di un indirizzo considerato di interesse di tutti, sempre nel rispetto della parità di condizioni e dell’eguaglianza di tutti, persone ed enti, di fronte alla legge. L’autoritarismo comincia esattamente dove lo spazio di mediazione si riduce e si dia per assunto che non tutti i soggetti sono uguali e le norme debbono essere interpretate sempre in funzione dell’esercizio del potere.
Così, quando il Ministro Boschi afferma che votare “no” al referendum significa mancare di rispetto al lavoro del Parlamento che ha approvato la riforma della Costituzione, il segnale appare abbastanza evidente.
Non allarma l’assoluta infondatezza sul piano tecnico-giuridico della dichiarazione. Il referendum confermativo per ogni riforma della Costituzione è previsto dall’articolo 138 della Costituzione stessa ed è stato previsto appositamente dai padri costituenti come strumento di misurazione della rispondenza dell’indirizzo politico, rivolto alla delicatissima operazione di riforma della legge fondamentale dello Stato, con la volontà popolare. La ragione di ciò è semplicissima: sempre la Costituzione dispone che la sovranità appartiene al popolo. Poiché la Costituzione è la massima espressione della sovranità, uno strumento di confronto tra la volontà del popolo sovrano ed i suoi rappresentanti è assolutamente necessario, quando i rappresentanti decidono di modificare la legge fondamentale stessa.
D’altra parte, la Costituzione ammette anche la possibilità che il Parlamento eviti il referendum: basta che la riforma della Costituzione ottenga nella seconda votazione la maggioranza dei 2/3 in ciascuna camera. Si presuppone, in questo caso, che la rappresentatività popolare sia garantita.
Come è noto, la riforma che modifica ben 47 articoli della Costituzione, non ha ricevuto la maggioranza dei 2/3 ed è stata approvata come chiara sfida alle forze di opposizione, nell’assenza conclamata di uno spirito costituente unitario come quello del 1947. Il tutto, per altro, in una legislatura formatasi con una legge elettorale dichiarata incostituzionale, che indebolisce fino ad eliminare la legittimazione di un Parlamento così formato ad emanare riforme di questa portata.
Le evidenze tecnico giuridiche, ma anche sociali, privano il ragionamento del Ministro Boschi di basi e lo riducono a sofismo – legittimo – da propaganda elettorale.
La pretesa, tuttavia, di considerare un voto possibile e lecito, il “no”, come mancanza di rispetto al lavoro del Parlamento sottintende una visione distorta della funzione democratica di rappresentanza del Parlamento e del Governo, che presuppone una sorta di presunzione di infallibilità di chi governa e una concezione negativa del dissenso.
Per quanto sia ovviamente oggetto di discussione accesa se la riforma della Costituzione, abbinata alla legge elettorale “Italicum” comporti realmente un fondamento giuridico della svolta autoritaria, la concezione delle norme vigenti come regole che, comunque, possano fondare una posizione di supremazia della maggioranza al potere assoluta, cioè sciolta da regole che possano anche consentire l’espressione di un dissenso è un segnale molto chiaro di una visione del potere accentratrice, autoreferenziale e autocratica.
Molto probabilmente, si è trattato di un infortunio argomentativo, figlio di una campagna referendaria che sta iniziando ad entrare nel vivo, ma sconta già la personalizzazione frettolosamente imposta dal premier.
Il quale, a sua volta, è intervenuto nella propaganda con un’altra argomentazione ancora una volta non di merito, ma di “scenario”: il fatto che con l’eliminazione del Senato si risparmierebbero 500 milioni, che potrebbero essere, così, destinati ai poveri.
E’ un’affermazione priva di sostanza. Lo si era detto anche per la riforma delle province: “con i 100 milioni annui di risparmio dei costi dei politici provinciali, si costruiranno asili nido”. Non un asilo nido è stato edificato, anche perché i risparmi sbandierati proprio non vi sono stati. Lo stesso, si deve temere con realismo, accadrà anche con l’eliminazione del Senato: ma, resta anche in questo caso un messaggio autocratico del quale era opportuno fare a meno.