RIFORME: TANTO RUMORE PER NULLA
Riforme, finalmente si fanno le riforme che da 30 anni si attendono. Gli slogan trionfali dopo l’approvazione della legge elettorale si sprecano, come la litania della necessità delle riforme, grazie alle quali l’Italia può trovare rilancio e superare la crisi economica.
Grattando sotto gli slogan, tuttavia, ci si rende conto che non basta fare le “riforme” per risanare il Paese, se quelle riforme non producono risultati.
Analizzando brevemente il percorso avviato a fine 2011 dal Governo Monti, col quale quelli diretti da Letta e Renzi sono in evidentissima continuità, non possiamo certo dire che di riforme non ne siano state fatte. Sono state toccati temi rilevantissimi, come le pensioni, il lavoro (con ben quattro interventi: la legge Fornero, il decreto Giovannini, il decreto Poletti ed ora il JobsAct), l’Imu, le province, le istituzioni bancarie, la pubblica amministrazione (il decreto Madia dello scorso anno), lo sblocca Italia per edilizia e lavori pubblici, una serie di spending review attivate da almeno 4 leggi tra finanziarie e di stabilità. E l’elenco è ovviamente molto più lungo.
Ma, quali risultati sono stati ottenuti, nonostante queste riforme? Il debito pubblico dal 2011 continua a crescere, inarrestabile. La pressione fiscale ha raggiunto il suo massimo nel 2013 ma negli anni successivi si è sempre mantenuta su livelli altissimi. La disoccupazione ha toccato quota 13%. La spesa pubblica continua ad aumentare.
Insomma, non c’è un solo indicatore economico dal quale possa dedursi che le “riforme” in questi anni siano state utili o, comunque, efficaci.
Aspettarsi che il rilancio dell’efficacia possa discendere dalla modifica della legge elettorale (specie se l’intento è andare a elezioni tra tre anni) è oggettivamente ingenuo, in quanto il sistema di regolazione della rappresentanza politica non ha, come ovvio, alcuna correlazione con l’andamento dell’economia. Lo stesso vale per la riforma della Costituzione, come anche per la riforma della scuola.
In molti attribuiscono alla riforma della PA, in esame in Parlamento, una salvifica capacità di far conseguire risparmi, senza però scendere mai nel dettaglio di come e di quanto effettivamente si potrebbe risparmiare.
Si ha la netta sensazione che le “riforme” siano attuate tanto per riformare e, soprattutto, per dare all’Europa la sensazione di rispettare il diktat della famosa lettera della Bce dell’estate 2011. Tuttavia, degli esiti veri, nessuno si occupa. E per esiti veri ci si riferisce, ad esempio, al clamoroso danno arrecato dall’incostituzionalità del blocco biennale della perequazione delle pensioni di tre volte superiori al minimo, per una maggiore spesa che si aggira tra i 10 e i 13 miliardi che non si sa come reperire.
Sì, perché tra le varie “riforme” c’è stata anche l’introduzione del bonus degli 80 euro, che costa allo Stato 10 miliardi e, guarda caso, non si è mai esteso ai pensionati, i quali hanno subìto due trattamenti “speciali”: il blocco della rivalutazione (incostituzionale) e la mancata attribuzione del bonus. Come in una sorta di redistribuzione di risorse tra “poveri”.
Se questi sono i risultati delle “riforme” sin qui sviluppate, sarebbe il caso di riflettere urgentemente e fermarsi, per verificare l’ipotesi di strade molto diverse, che almeno sortiscano l’effetto di incidere davvero su qualcuno dei grandi indicatori economici.
Luigi Oliveri