PUR DI FAR CASSA SI MISE MANO ALLE PENSIONI. ADESSO IL GOVERNO FRETTOLOSO DEVE CORRERE AI RIPARI
La sentenza della Corte costituzionale 70/2015 che ha bocciato il blocco (asseritamente biennale, ma in realtà con conseguenze a tempo indeterminato) della perequazione delle pensioni superiori a 3 volte il minimo dovrebbe certificare il fallimento sia del Governo Monti, sia di un modo di legiferare indifferente a regole ordinamento.
In effetti, il Governo Monti ha proprio inaugurato un sistema di Governo “di salute pubblica” che dura incessantemente da quasi 4 anni, nei quali – non a caso – non si è mai avuto modo di assistere all’insediamento a Palazzo Chigi di un Presidente del consiglio frutto dell’espressione del voto.
A partire da Monti, i Governi hanno sostanzialmente smesso di amministrare, cioè attuare le leggi approvate dal Parlamento, per proporsi, al contrario, di governare legiferando, mediante decreti-legge, tutti giustificati da infinite situazioni di urgenza. Un’urgenza tale da porre in secondo piano le ragioni del diritto ed i vincoli della Costituzione.
Si è, cioè, ritenuto che gli obblighi internazionali e la situazione economica potessero giustificare qualsiasi decisione normativa, adottata con qualsiasi metodo. Compreso il “metodo Fiorani”, che scaricava sui correntisti, con aumenti di costo, l’allegra gestione della Banca Popolare di Lodi.
Sul piano etico, l’azione del Governo Monti con la “legge Fornero”, cioè il d.l. 201/2011, convertito in legge 214/2011, non fu molto dissimile: per “fare cassa” si abbattè su circa 5,5 milioni di pensionati con pensioni superiori a poco più di 1.400 euro lordi (lordi, è bene ribadire) il blocco della perequazione all’incremento del costo della vita, per un valore di 5-6 miliardi. Quei miliardi che mai si sono sottratti ad acquisti di F35 o alla realizzazione di grandi opere inutili. Tutto ciò nella totale indifferenza riguardo al vulnus che simile manovra avrebbe determinato nei confronti di quei cittadini, oggetto, sostanzialmente, di un prelievo fiscale mirato e sotto mentite spoglie.
Ora, in molti accusano la Corte costituzionale di aver agito irresponsabilmente, senza tenere conto delle conseguenze della propria sentenza, utilizzando solo e soltanto ragionamenti di carattere finanziario, che di giuridico non hanno nulla e non entrano per nulla nel merito della violazione alla Costituzione causata da quella che pomposamente venne qualificata da Monti stesso come legge “salva Italia”.
Molti forse hanno dimenticato che la Consulta, con sentenza 220/2013, bocciò esattamente lo stesso “salva Italia” nella parte relativa alla riforma delle province, per il semplice fatto che non era possibile con un decreto legge incidere su enti a rilevanza costituzionale.
Non male: un solo decreto e ben due bocciature clamorose subite dalla Corte costituzionale. Oltre alla ben peggiore bocciatura tecnica e morale delle conseguenze disastrose dovute alla fretta e alla evidente poca capacità di valutare l’impatto normativo, derivante dalla creazione di oltre 300.000 “esodati”, piaga ancora oggi non risanata.
Invece di criticare la sentenza della Consulta 70/015, sarebbe opportuno prendere atto che governare al solo scopo di attuare lettere della Bce (che non a caso chiedeva, nell’estate 2011, interventi su pensioni e province) e nell’emergenza continua, comporta solo ferite gravissime all’ordinamento e crea effetti opposti: invece che risparmi di spesa, esplosioni della stessa. Sì, perché nessuna scelta economica e finanziaria può mai essere efficace se, prima, non sia legittima e rispettosa della Costituzione.
Nel legiferare e amministrare, la velocità, l’emergenza, la cultura solo economicistica non possono essere l’unica guida. La Corte costituzionale è li a ricordarcelo.