PREVENIRE MEGLIO CHE REPRIMERE PROCESSI MEDIATICI E DERIVA GIUSTIZIALISTA
Per “barbarie giustizialista” siamo portati ad intendere una deriva incontrollabile di tipo giacobino nell’esercizio del potere giudiziario, tale da portare ad una caccia al colpevole, senza garanzie e a ondate di arresti e, soprattutto, processi sommari da cui derivino condanne ingiuste.
Se questa può essere una definizione credibile di “barbarie giustizialista”, non sembra proprio che essa rispecchi quanto avvenuto in Italia nell’ultimo quarto di secolo e, soprattutto, negli ultimi anni.
Soprattutto, se per giustizialismo, piuttosto,si intende un processo mediatico (come in molti ritengono), non si capisce perchè due ministri nemmeno indagati, come Lupi e Guidi, siano stati indotti alle dimissioni; o quanto meno non è chiaro perchè il premier e tutto il Governon non abbiano fatto nulla per impedire queste dimissioni o non accettarle.
Chi ha posto in essere, in questo caso, la deriva giustizialista? La domanda non è peregrina, soprattutto considerando che sono ancora in forza all’Esecutivo alcuni sottosegretari coinvolti in procedimenti giudiziari, i quali nè si sono dimessi, nè qualcuno ha indotto a dimettersi. Che il giustizialismo funzioni a giorni alterni?
Forse, però, il giustizialismo non è quello che autoregola i rapporti politici e la sensibilità istituzionale del singolo. E’, appunto, quello mediatico, che pubblica le intercettazioni, violando la privacy, si dice, e mettendo a rischio la linea difensiva dell’interessato, si dice.
Ma, chi conosce il diritto processuale penale, sa bene che le intercettazioni, una volta che il fascicolo è stato messo a disposizione della difesa da parte del giudice, sono pubbliche. La loro pubblicazione non può nuocere alla difesa, perchè proprio il fatto di essere rese note alla difesa consente di elaborare la strategia difensiva. Nè si vìola privacy alcuna, perchè appunto si tratta di atti resi pubblici ai sensi del codice e non sono frutto di “veline” passate alla stampa. La quale, fino a prova contraria, se pubblica le intercettazioni, fa il proprio dovere.
Allora, il giustizialismo consiste nell’atteggiamento di giudici che come Davigo traggono un’analisi impietosa dello stato attuale della lotta in particolare alla corruzione, osservando che l’allarme è ancora maggiore di 25 anni fa?
Raffaele Cantone, insieme a molti altri, ha ribattuto che non si combatte la corruzione solo con le manette. Giusto. La prevenzione è fondamentale. Sta di fatto, però, che in Italia risultano reclusi per corruzione 228 colletti bianchi, contro quasi 7.000 in Germania. Non pare affatto, dunque, che il “giustizialismo” abbia prodotto troppi ferri che si siano stretti ai polsi.
Del resto, sarebbe stato ben difficile. Dagli anni ’90 sono state avviate continue riforme del codice volte a complicare le procedure, allungando necessariamente i tempi dei processi, ma dimezzando i tempi della prescrizione, mentre una serie di reati sono stati praticamente derubricati, come il falso in bilancio, la cui recente riforma non può sortire effetti, in quanto risulta praticamente impossibile assegnare la pena.
Ma, se la corruzione dilagante non fosse un problema concreto e reale, perchè mai l’Italia si sarebbe dotata nel 2012 di una legge anticorruzione ed avrebbe attivato un’Autorità anticorruzione? Che bisogno vi sarebbe stato, se tutto fosse stato solo effetto del giustizialismo?
Per altro, sono da evidenziare due cose. La legge del 2012 è stata adottata dietro una vera e propria imposizione delle istituzioni internazionali, visto che l’Italia era l’unico Paese occidentale a non essersi dotato di un sistema di prevenzione della corruzione. In secondo luogo, la legge anticorruzione nella sua prima parte, dove disciplina le misure di prevenzione, ha come destinatari solo ed esclusivamente i funzionari pubblici, non la politica. E nella seconda parte, che si occupa di riformare alcuni reati, ha depotenziato fortemente la concussione, consentendo così a Berlusconi, ad esempio, di essere scagionato nel processo per la famosa telefonata notturna alla questura di Miliano.
Certo, è necessario agire anche sulla prevenzione della corruzione. Ma, se si deve prevenire, se esiste l’Anac, se Cantone agisce con tutta la visibilità ottenuta, è perchè il problema della corruzione esiste ed è grave. Liquidare, quindi, le parole di Davigo con sufficienza o come “attacco della magistratura alla politica” significa non aver presenti i reali problemi ancora vivi.