PER LA BUONA SCUOLA DEI PRESIDI SERVONO BUONI PRESIDI.
Una riforma della scuola che limita la libertà di insegnamento e apre le porte verso l’istruzione intesa come prodotto e non come servizio.
Se questo sia “buona scuola” lo diranno i fatti in futuro. Certo è che la legge di riforma appena approvata ha la caratteristica evidente di non curarsi per nulla della questione centrale di qualsiasi livello di insegnamento: la qualità della didattica, l’aggiornamento dei programmi alle modifiche della società, la capacità di formare non solo un lavoratore, ma soprattutto un cittadino, con la libertà di coscienza derivante dalla libertà e quantità di conoscenza messagli a disposizione dai servizi di istruzione.
La riforma si presenta come modifica della tecnostruttura organizzativa, in modo da realizzare strumenti di valutazione dei docenti la cui efficacia è tutta da dimostrare ma, soprattutto, da permettere al dirigente scolastico, il preside di una volta, di essere il deus ex machina.
Sarà, infatti, il dirigente scolastico a decidere chi assumere e chi incaricare o lasciare senza incarico e persino per quale materia insegnare, anche non inerente all’abilitazione acquisita.
E’ una scelta, questa dei poteri attribuiti ai presidi, raccontata come modernizzazione verso un preside-manager, che dirige e gestisce la scuola come fosse un’azienda.
Ma, è proprio questo il modo per violare i principi fissati dalla Costituzione. L’articolo 34 della Carta dispone che “la scuola è aperta a tutti”, non, dunque, un mercato elitario nel quale competono coloro che in relazione al reddito possono ottenere l’iscrizione in istituti meglio gestiti, perché il preside-manager ottiene maggiori finanziamenti privati o ha la ventura di scegliere i docenti migliori. Una scuola aperta a tutti, abbinata i principi di eguaglianza e pari opportunità per i cittadini, significa una scuola che assicuri a tutti i medesimi livelli di prestazione, diffonda la cultura in modo ampio. Perché l’istruzione non è un prodotto da acquistare, ma un seme da diffondere e far germinare sull’intera popolazione.
Anche l’articolo 33 della Costituzione, laddove afferma che l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento viene vulnerato. L’accentramento in una sola persona, il preside, del potere di assumere, licenziare, incaricare, revocare l’incarico e valutare, soggioga evidentemente i docenti, ne precarizza il lavoro, li rende al servizio non della cultura, ma di quel preside che in quel momento ne assicura il lavoro.
Il potere assegnato al preside è talmente ampio da incidere concretamente sulla libertà di insegnamento: un dirigente scolastico, ad esempio, assolutamente convinto della bontà della teoria creazionista e non evoluzionista, potrebbe condizionare fortemente la didattica dei docenti di scienze e biologia, ma anche filosofia e storia, lasciando fuori chi non la pensi come lui. Per non parlare dell’evidente rischio di clientelismo: il potere immenso concentrato su pochi presidi apre la stura ad affiliazioni politiche, quali condizioni e presupposti per mantenere o ottenere il lavoro di insegnamento, ancora una volta condizionandone i contenuti.