Non potevano sapere.Due assoluzioni che mettono in luce presunte ingenuità di chi governa
Siamo governati da inconsapevoli? La sentenza della Cassazione di assoluzione di Silvio Berlusconi per la telefonata alla Questura riferita a Ruby, a pochi giorni da quella che ha escluso la responsabilità erariale di Matteo Renzi per l’assunzione con stipendi da laureati, di collaboratori suoi e della giunta provinciale di Firenze di non laureati, lascia riflettere.
Non per il merito. Le sentenze non si dovrebbero discutere. La posizione di Berlusconi e di Renzi, dunque, è incontrovertibilmente di assenza di responsabilità penale, per il primo, erariale, per il secondo.
Lasciano, piuttosto, sconcertati le motivazioni. Ma, anche qui, non per le sentenze in se stesse, bensì per ciò che esse rivelano.
Quali punti in comune hanno, allora, le due pronunce, pur così diverse tra loro per fatti e giurisdizione, visto che l’una, quella della Cassazione, è una sentenza penale, l’altra, quella della Sezione d’appello della Corte dei conti, riguarda la responsabilità erariale (per danno contabile alle casse pubbliche)?
Il fatto eclatante è che esse svelano che chi si assume o si è assunto responsabilità di Governo è manifestamente, quanto meno, un ingenuo.
La Cassazione afferma che Silvio Berlusconi non era in grado di rendersi conto che Ruby fosse minorenne, al momento dei suoi contatti con Arcore. Tale informazione sarebbe stata resa evidente all’ex premier solo, appunto, al momento delle famose telefonate alla Questura di Milano del maggio 2010. Si passa dal “non poteva non sapere” al “non poteva sapere”.
La Corte dei conti ha assolto Renzi in quanto, a sua volta, “non poteva sapere” che per retribuire dipendenti pubblici con stipendi da laureati, occorre che quei dipendenti siano laureati. L’apparato amministrativo della Provincia di Firenze, a suo tempo, non lo rese edotto dell’illegittimità dell’assunzione e l’allora presidente della Provincia non potè rendersene conto, perché “non addetto ai lavori”.
Tutte ragioni sacrosante, per carità, se agli occhi dei magistrati costituiscono motivazione per assolvere.
Sta di fatto che queste sentenze restituiscono una realtà sulla quale riflettere. Ai posti di governo e responsabilità siedono persone che non sono in grado di capire che una donna, invitata a cene eleganti, sia minorenne, oppure che per assumere un laureato occorre che l’interessato disponga del titolo accademico. Insomma, siedono dei “non addetti ai lavori”.
Ecco, speriamo che i giudici si siano sbagliati nel descrivere, come dire, il profilo psicologico ai fini dell’assoluzione. Come italiani, vogliamo restare convintissimi di essere stati ed essere tutt’ora governati da persone perfettamente capaci e addette ai lavori, dunque idonee al loro alto compito.