MATTARELLA FIRMA LA LEGGE DI STABILITA’ MA LA COMMISSIONE EUROPEA AVEVA DATO L’OK DIECI GIORNI PRIMA
Il 25 ottobre, esattamente 10 giorni dopo l’approvazione del disegno di legge (evidentemente senza alcun testo) di stabilità 2016, il Presidente della Repubblica ha potuto firmarlo per la presentazione al Senato, prevista per la mattina del 26.
La sottoscrizione di Sergio Mattarella conferma l’estremo ritardo col quale il Governo ha attivato l’iter. La legge prescrive che il disegno di legge di stabilità debba essere presentato al Parlamento entro il 15 ottobre, non semplicemente approvato in Consiglio dei ministri.
Quasi due settimane, dunque, sono state sottratte al complesso iter parlamentare necessario per l’approvazione di una delle leggi più importanti.
Ma, la notizia non consiste solo nel rilevare ancora una volta l’ennesima mortificazione del Parlamento, bensì nel prendere atto che nei rapporti tra Paesi della Ue e Ue medesima più di qualcosa non funziona.
Il 16 ottobre, il giorno dopo dell’approvazione in Consiglio dei ministri di un testo fantasma di disegno di legge, le agenzie di stampa hanno lanciato la notizia che la Commissione europea, avendo esaminato il testo trasmesso ha dato il sostanziale via libera alla manovra economica.
Ma, se il testo della legge è stato consolidato e sottoscritto dal Presidente della Repubblica solo il 25 ottobre, il 16 la Commissione Europea cosa ha visto? Su quali basi ha pronunciato il proprio avviso nel merito della norma?
I fatti parlano chiaro: la Commissione si è pronunciata, molto probabilmente in maniera informale, solo su suggestioni e tabelle, non certo su un testo inesistente.
Tutto questo conferma come i controlli e i pareri della Ue sulle leggi sono molto più superficiali, meno tecnici e molto più politici di quanto si voglia far apparire. Del resto, è sostanzialmente impossibile che in poche ore la Commissione Europea possa davvero leggere e comprendere testi normativi talmente complicati e scritti in modo illeggibile, quali quelli delle leggi di stabilità, che per anni regolarmente sono gli stessi interpreti ed i giudici ad accapigliarsi per fornirne un’interpretazione univoca e credibile.
Nelle sedi Ue è evidente, allora, che i “giudizi” si basano su elementi molto più semplicistici e riassuntivi e che gli stop o i via libera alle riforme hanno a fondamento considerazioni molto poco tecniche, semmai piuttosto connesse ad intenti tattici o strategici si sostenere o abbattere governi e maggioranze di volta in volta.