LA COMMISSIONE ANTIMAFIA E I MAGNIFICI 17 DELLE ELEZIONI REGIONALI
La questione degli “impresentabili” nelle liste alle elezioni regionali di ora in ora si fa sempre più stucchevole. Mentre, infatti, “non si accettano lezioni di legalità”, l’attenzione, come sempre da 20 anni a questa parte, si sposta dal problema del candidato con la fedina penale non proprio linda (candidato, dal latino, significa che porta una tunica bianca, simbolo di purezza e integrità…), al problema di chi svela il fatto, se non piace.
Si scopre, dunque, che nella lista stilata dalla Commissione antimafia di 17 impresentabili è compreso anche il candidato presidente alla regione Campania, Vincenzo De Luca, a causa della sua condanna per abuso d’ufficio.
Visto che la condanna c’è, seppure di primo grado, e la legge Severino è vigente, non ci sarebbe per nulla da stupirsi che la Commissione antimafia consideri De Luca impresentabile.
La situazione ingarbugliatissima della politica italiana, tuttavia, rende un semplice fatto di evidenza elementare, un cortocircuito istituzionale, nel quale si accapigliano il partito di maggioranza e la Commissione antimafia, l’un contro l’altro armati. La Commissione a rivendicare autonomia e indipendenza di azione, il Partito a dare rilevanza al consenso popolare del proprio candidato, legittimato dalle primarie e dalla presunzione di non colpevolezza.
Sembra di stare a sentire, ancora, il refrain di venti anni che non sono ancora stati evidentemente rottamati. E si ha la forte sensazione che la rottamazione abbia avuto come solo effetto un semplice cambio della guardia al vertice di un partito, ma non il cambiamento di direzione della politica e la cura ai suoi problemi, primi tra tutti quello appunto di personaggi non troppo digeribili in liste elettorali, se, come si presupporrebbe, le liste debbono raccogliere il meglio delle capacità da offrire ai cittadini, per la guida delle istituzioni.
Al di là, comunque, delle considerazioni sul merito della questione, non dovrebbe sfuggire che ad aggravare il caos c’è il disegno di legge di riforma della Costituzione che se passasse permetterebbe di mandare in Parlamento, al Senato, proprio gli “impresentabili” eletti nelle regioni e anche nei comuni. A dimostrazione che il problema del reclutamento della classe politica “locale” non è affatto locale, anche perché gli “impresentabili” spesso sono punti focali di reti di consenso il cui approdo è il Parlamento e il condizionamento del voto e delle scelte politiche di fondo.
La situazione che ci si presenta davanti agli occhi in queste ore dimostra l’ennesimo tra i tanti flop del Governo Monti, che accumula ogni giorno record su record di norme incostituzionali o, quanto meno, di indubbia inefficacia: dai dirigenti illegittimamente nominati presso le Agenzie fiscali, all’incostituzionale blocco della perequazione delle pensioni, dagli esodati alla stessa legge Severino, che certamente è causa dell’impasse di queste ore.
Come si dimostra, la legge Severino non è certo in grado di scongiurare l’inserimento nelle liste di “impresentabili”, perché, come sempre, scritta di fretta e male. Tanto da consentire la paradossale possibilità di candidare chi non risulterebbe, poi, eleggibile. Un’oggettiva assurdità, che poi scatena la gara alle interpretazioni più o meno ad personam o ad partitum, a seconda che la spada di Damocle della decadenza dalle funzioni penda sulla testa dell’amico o dell’avversario.
Prevedere molto semplicemente e chiaramente che chi non è eleggibile non può essere di conseguenza candidabile, come anche il divieto di candidarsi per chi risulti condannato sarebbe il minimo da aspettarsi, visto che per accedere ad un posto di lavoro pubblico o provare solo a partecipare ad una gara d’appalto se non si ha la fedina penale più che specchiata è meglio rinunciare in partenza.
La Severino avrebbe potuto essere l’occasione per introdurre questo minimo di chiarezza. Purtroppo, è un’occasione largamente perduta.