ITALICUM: LA GOVERNABILITA’ NON E’ IL POTERE DI UNA MINORANZA
Di fronte alla framentazione delle forze politiche in tutta Europa è giusto l’”italicum”, come ha detto la Ministra Boschi commentando gli esiti delle elezioni in Spagna?
Nella penisola iberica si è verificata una situazione post elettorale molto simile a quella dell’Italia dopo le elezioni del 2013: un Paese tripolare e non bipolare, con i principali partiti che raggiungono quote tra il 20% ed il 30%.
Ma, ricordiamo che anche in Germania ormai da anni non esiste più un vero bipolarismo: forze “terze incomode” inducono cristianodemocratici e socialdemocratici da anni ad attivare la “grande coalizione”.
In Spagna si dovrà pensare a qualcosa di simile. Visto l’esito delle elezioni e poiché il partito di Rajoy non ce la farà a reggersi da solo, dovrà stringere alleanze con altri partiti, negoziandole in Parlamento.
Per l’Italia, a ben ricordare, non si tratta di una novità. L’intera cosiddetta “prima Repubblica” è stata caratterizzata da governi di coalizioni più o meno eterogenee. Questa è stata una delle cause della debolezza dei governi, ma solo una. E’ noto che a condizionare la durata degli esecutivi sono state in misura uguale se non maggiore le divisione interne ai partiti, chiamate “correnti”. Tanto forte è stato questo condizionamento che si è perpetuato, sebbene in modo meno visibile a causa anche della fortissima verticalizzazione e personalizzazione dei partiti, anche nella “seconda Repubblica”.
Tornando alla domanda iniziale, il rimedio alla frammentazione può essere una legge come l’italicum, che col premio di maggioranza abnorme (una delle caratteristiche dell’illegittimità costituzionale del “porcellum”) è in grado di polarizzare ciò che è frammentato e di concentrare forzosamente la maggioranza in un partito che a mala pena superasse il 30%?
Chi pensa alla “governabilità” come unico pregio della politica, risponderebbe di sì, dimendicando (o fingendo di farlo) che appunto la storia italiana è fatta di ribaltoni interni alle coalizioni ed ai partiti.
Certo la governabilità è un elemento essenziale, ma in un ordinamento costituzionale dovrebbe essere comunque subordinato alla funzione di rappresentanza democratica, posto che le istituzioni debbono rappresentare il popolo, al quale spetta la sovranità.
Qualsiasi legge elettorale che annulli una parte della rappresentanza popolare vulnera la sovranità del popolo, trasformandola in sovranità dei partiti.
La cosa non è di poco conto. Un partito che col 30% dei voti guadagni però il 55% dei seggi in Parlamento non si limita a poter governare. Un esecutivo oltre a proporre leggi in Parlamento, appunto amministra, esegue, decide. Soprattutto, nomina. Un partito che vale un terzo della rappresentanza popolare, con una spinta come quella dell’italicum può esercitare un potere formidabile, ben oltre il suo consenso, verso aziende pubbliche, banche, ospedali, Rai, giornali e comunicazione. Può, cioè, controllare i gangli del potere e godere di una rendita di posizione tale da forzare verso un cambiamento innaturale della rappresentatività. Tanto è vero che l’attuale forza di maggioranza (per altro anch’essa costruita in vitro dal porcellum) punta senza nasconderlo appunto ad un partito della Nazione, che assorba tutta la politica.
Queste considerazioni evidenziano come la soluzione dell’italicum risulti fin troppo semplicistica e in radice di difficile coordinamento con l’assetto del Paese, sia istituzionale, sia sociale. Soprattutto, considerando che l’italicum è stato prodotto da un Parlamento eletto con una legge elettorale incostituzionale, proprio per difetto di rappresentatività. Forse, una revisione (per quanto necessaria) della legge elettorale sarebbe stato opportuno fosse stata di provenienza di un Parlamento dotato di piena legittimazione popolare.