ESSERE ANTI PUO’ ESSERE A VOLTE UN TRAMPOLINO PER LA CARRIERA POLITICA
Sulla vicenda che riguarda l’elencazione degli “impresentabili” e la decadenza di Vincenzo De Luca dalla carica di presidente della regione Campania, cui è stato di recente eletto, il dubbio più fitto riguarda il presidente dell’Autorità anticorruzione (Anac), Raffaele Cantone.
In particolare, non si riesce a capire il perché, la ratio, l’utilità e l’eventuale doverosità dell’intervento che ha rilasciato alla stampa, col quale ha criticato l’operato della presidentessa della commissione antimafia, Rosy Bindi, ed ha anche espresso l’idea, sia pure in forma velata, che De Luca non debba decadere. E che, in ogni caso, andrebbe fatta una “revisione” alla legge Severino, proprio sul tema del reato di abuso d’ufficio, quello per il quale risulta la condanna in primo grado di De Luca, che oltre alle altre imputazioni, ha indotto la Bindi ad elencarlo tra gli “impresentabili”.
Le parole di Cantone ovviamente sono risultate musica per le orecchie del premier Renzi e di De Luca, quasi un conforto alla sua iniziativa di querelare la Bindi. Anche se De Luca, come Cantone, dovrebbe sapere perfettamente che la Bindi ha agito in applicazione delle regole di funzionamento della commissione antimafia, né ha diffamato nessuno perché si è limitata a leggere risultanze dei casellari giudiziali, né, in ogni caso, potrebbe essere perseguibile: infatti, resta ancora vigente l’articolo 68, comma 1, della Costituzione ai sensi del quale “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. E la Bindi ha formato e diramato l’elenco degli impresentabili proprio nell’esercizio delle sue funzioni di parlamentare.
Non si capisce, dunque, esattamente il perché dell’intervento di Cantone, che, fino a prova contraria, non ha poteri né di controllo, né di sindacato sull’operato del Parlamento e, comunque, sull’attività politica. Cantone presiede un’Authority, dunque un ente amministrativo, che non ha alcuna funzione né di controllo, né politica, né di governo.
L’opinione di Cantone, sul merito, visto che non è connessa all’esercizio delle competenze dell’Authority da lui presieduta, conta come quella degli altri presidenti delle molte (troppe) altre autorità garanti operanti in Italia. O, meglio, dovrebbe contare come quelle altre.
Nella realtà, nessun altro presidente di Authority risulta avere espresso la propria opinione sulla questione ed è evidente che, anche l’avessero fatto, i media non avrebbero dato alcun risalto.
Quel che non convince nell’uscita di Cantone è che, al di là dell’espressione di un parere non richiesto, non dovuto e certamente sconfinante dalle sue competenze amministrative, è l’impressione (certamente sbagliata) che desta: quella, cioè, di essere una sorta di atto di fedeltà o, se si vuole, di consenso (quelli che parlano bene oggi direbbero “endorsement”) verso il Governo e il premier, chiamato al ruolo paradossale di segretario del partito che ha subìto la candidatura di De Luca ma lo ha poi supportato, risultando adesso al tempo stesso colui che vorrebbe modificare la legge Severino per scongiurarne la sospensione di 18 mesi, ma anche colui che detta sospensione deve decretare.
E’ ormai molto evidente che Cantone ha rinunciato al suo ruolo di terzietà. Per mesi ha accettato che del suo nominativo si abusasse in ogni talk show, per dimostrare che la lotta alla corruzione è efficace grazie alla sua nomina, come un taumaturgo. Adesso, dopo aver acconsentito alla creazione della sua icona, passa direttamente all’azione e all’agone politico, con prese di posizione che non hanno nulla della funzione cui è stato chiamato.
Ovviamente, la Costituzione tutela la libertà di manifestare il proprio pensiero e Cantone ovviamente è liberissimo di dire ciò che ritiene. Ci si aspetterebbe, però, che, proprio per l’aura che gli è stata cucita addosso e la funzione di soggetto “terzo” cui è chiamato, circoscrivesse le proprie esternazioni al cuore della sua funzione. Ma, forse, occorreva serrare i ranghi e Cantone ha risposto, lasciando l’impressione che la presidenza dell’Anac altro non sia se non un trampolino di lancio verso una carriera politica di altro peso.