ELETTO DAI CITTADINI E CACCIATO DAI PARTITI
Nel braccio di ferro tra Marino e il Pd a risultare perdente è, comunque, la democrazia. L’addio dell’ex sindaco di Roma era ormai inevitabile. Era chiaro che nonostante il suo ripensamento alle dimissioni il suo partito avrebbe fatto di tutto per trovare il sistema di giubilarlo (ogni riferimento al Giubileo non è casuale).
Per liberarsi di Marino non ci si è fatti scrupolo di utilizzare qualsiasi mezzo. Si è così assistito all’evento del tutto inusitato della ricerca di alleanze tra una maggioranza ed esponenti dell’opposizione non allo scopo di rafforzare la maggioranza stessa, bensì di far cadere il sindaco espressione di quella maggioranza.
Marino ha sicuramente molti meriti: il tentativo, anche se per tanti versi incoerente e pittoresco, di rimediare a decenni di amministrazione inquinata di una Capitale ormai rappresentata nell’immaginario collettivo dal funerale kitsch dei Casamonica. Certamente ha molti torti, soprattutto la leggerezza con la quale ha trattato il caso e i dati dei famosi scontrini.
Senza alcun dubbio, comunque, Marino è risultato scomodo. Alla città e anche allo stesso apparato.
Qualunque siano le cause della vicenda, la sua conclusione (indotta, comunque, anche dall’iniziativa di Marino di ritirare le dimissioni) dimostra che la democrazia in Italia è realmente ad un bivio.
La cacciata del sindaco della Capitale dimostra quanta distanza vi sia tra il corpo elettorale, chiamato ad individuare i propri rappresentanti nelle istituzioni, e i partiti, che quelle istituzioni governano, come si nota, prescindendo quasi dalle risultanze elettorali.
Non è un caso, ma un disegno se le province non sono state per nulla abolite, mentre è stato abolito il diritto dei cittadini di votare i propri rappresentanti in seno a questi enti; non è un caso se la legge di riforma della Costituzione, ormai prossima all’approvazione, elimini il Senato elettorale ed introduca un sistema bizantino di rappresentanza di secondo grado, simile all’esproprio di democrazia già operato nelle province; non è un caso se i due Governi che si sono succeduti dopo le elezioni del febbraio 2013 non siano per nulla espressione dell’esito delle elezioni, ma frutto di intese non elettorali, bensì di potere, rese per altro possibili dalla rinuncia ad esercitare funzioni di governo da parte del M5S che pure è risultata la prima forza politica, nonché dal tradimento al corpo elettorale compiuto dai partiti riunitisi nella grande coalizione, nonché dagli ulteriori voltafaccia del partito di maggioranza della coalizione a seguito delle primarie e dei tradimenti interni al centrodestra.
Il tutto dimostra come le istituzioni siano sempre meno legittimate da una rappresentanza della volontà del popolo che, secondo la Costituzione dovrebbe essere sovrano, ma sono sostanzialmente occupate da forze elitarie che in maniera sempre più verticistica decidono leggi, riforme, gli stessi esiti di legislature in base ad alleanze tattiche, finalizzate a tradimenti reciproci, decise al buio, privando totalmente di autonomia i membri delle istituzioni stesse, ridotti ad esecutori di disegni decisi altrove e da pochi.