CROCETTA : TRA SIMBOLISMO E SPETTACOLARIZZAZIONE IL DECLINO DI UN PRESIDENTE
La parabola discendente di Rosario Crocetta, presidente della regione Sicilia, oggettivamente non dovrebbe stupire.
Il “giallo” dell’intercettazione smentita dalla Procura, ma sulla cui autenticità insiste L’Espresso in fondo non deve essere l’occasione per chiedere o considerare opportune le dimissioni di Crocetta.
Ciò che dovrebbe indurre a riflettere molto sul governo regionale siciliano sono tanti elementi veri ed accertati, a differenza dell’intercettazione fantasma.
Difficile, davvero difficile, aspettarsi esiti esiziali diversi da quelli del governo regionale guidato da Crocetta, se il modo con il quale viene selezionata la classe politica è guidato da esigenze di marketing e, quindi, teso a cercare il “personaggio”, capace di sforare il video, a prescindere dalla valutazione della concreta idoneità a svolgere ruoli delicatissimi di governo, come quello di una regione.
Crocetta ha, del resto, da subito improntato il suo stile di governo esattamente alle esigenze di marketing e comunicazione. Ha fatto le corse per presentarsi nelle televisioni a rivendicare di essere il primo a riformare le province, avendo dato vita ad un riordino di questi enti ancora peggiore di quello fissato dalla legge Delrio.
Poi, ha inaugurato il festival degli incarichi agli assessori (circa 35) seguendo i medesimi dettami, cercando il nome ad effetto, come quelli di Zichichi o Battiato, senza minimamente curarsi dell’opportunità di affidare il governo di una regione a persone certamente molto conosciute ma totalmente prive di qualsiasi profilo ed esperienza politica e di governo.
Il governo regionale ha continuato ad accumulare debiti e buchi di bilancio per 7 miliardi, senza riuscire a portare la Sicilia verso nessuna nuova direzione, diversa dalla storia di sempre.
La nomina ad assessore di Lucia Borsellino si ha la netta sensazione abbia obbedito alla stessa logica: piazzare un nome simbolo dell’antimafia, come se per sconfiggere la mafia bastasse semplicemente un organigramma e un cognome da sbandierare. I simboli, certo, contano. Ma se si agisce solo per simboli e slogan, come una politica impostata solo sul marketing finisce per imporre, la sostanza vera, la concretezza, sfuggono. Ed i simboli che si sbandierano in pubblico, possono non essere altrettanto difesi e valorizzati in privato. D’altra parte, pubblicità e marketing non insegnano certo a dire la verità, ma quel che alla gente piace sentire.
Certo, il sospetto che l’intercettazione fantasma sia stata fatta uscire ad arte per avere un elemento forte per chiedere le dimissioni di Crocetta c’è. E non si può fare a meno di sottolineare l’ambiguità del PD, che col ministro Boschi, il giorno prima, aveva urlato in stile perfettamente berlusconiano contro la diffusione di intercettazioni non penalmente rilevanti, allo scopo di creare un cordone di sicurezza per il premier, pizzicato a svelare trame su Letta con generali della Guardia di Finanza. Il giorno dopo, un sottosegretario come Davide Faraone urla “dimissioni” per Crocetta, sulla base di un’intercettazione che non solo non ha rilevanza penale a sua volta, ma forse non è neppure vera.
Il partito di maggioranza dovrebbe chiarirsi le idee. E considerare l’operato di Crocetta per il merito e i risultati, senza rifugiarsi in intercettazioni di incerta provenienza.