C’E’ CHI ALL’OPPOSIZIONE SI FA IN TRE PER VOTARE LA RIFORMA COSTITUZIONALE
La celeberrima frase attribuita a Enrico IV di Francia “Parigi val bene una messa” pare essere la guida del Governo, anche se, spesso, “a sua insaputa”.C’è da approvare una riforma della Costituzione dai contenuti visibilmente critici e populisti, con il rischio che al Senato qualche componente della maggioranza faccia le bizze? Il voto della riforma “val bene” l’estensione della maggioranza a dei fuoriusciti del partito di opposizione, con allegata attribuzione a stretto giro di posta di tre vice presidenze di commissioni parlamentari, a suggellare, sostanzialmente, l’impegno a che quei parlamentari alle prossime elezioni avranno il meritato posto nelle liste bloccate.
Come dire, insomma, che la più importante delle leggi, la Carta che fonda le regole del convivere civile “val bene” lo scambio di voti, secondo il più classico dei piani di volo radente della politica. Nessuno si illude che la politica richieda compromessi e patti e, appunto, spesso pochi voli pindarici e molte planate. Solo che, in altri tempi, si sarebbe scelto di escludere da questo modo di intendere la politica la Costituzione. Ma, “Parigi val bene una messa”.
E se “Parigi val bene una messa”, cosa vogliamo che sia l’immonda (e ridicola, soprattutto all’estero) copertura di capolavori millenari dell’arte e patrimonio del Mondo (non dell’Italia), per non urtare la suscettibilità del presidente dell’Iran? Soprattutto, se detto presidente viene a far visita ad un’Italia in enorme affanno economico (fallito anche il tentativo di costituire la “bad bank” dopo il gentile niet della Ue), promettendo investimenti per 17 miliardi? Un investimento val bene la rinuncia alla storia, alla cultura, all’arte, al patrimonio di una Nazione e dell’Occidente, alla dignità di quella stessa Nazione.
Sì, certo, si dirà che la colpa non è sicuramente né del premier, né del Ministro che quei valori culturali dovrebbe tutelare, bensì del capo del cerimoniale, malaccorto. Probabile. Strano che il capo del cerimoniale, però, disponga di quell’autonomia decisionale e di movimento che il premier sembra negare ad ogni componente della macchina amministrativa da egli diretta. Ma, se “Parigi val bene una messa”, meglio aver avuto un capo del cerimoniale un po’ birichino e, poi, dirsi “irritato”: l’importante era che non si irritasse il presidente dell’Iran.