TORNA L’IDEA DEL PONTE UN SIMBOLO IMMAGINARIO CHE E’ GIA’ COSTATO 300 MILIONI PER NON FARLO.
Quella della realizzazione del ponte sullo stretto di Messina non è una semplice boutade. Anche se probabilmente per le prossime 5-6 generazioni sarà impossibile vedere realizzata l’opera, essa rappresenta davvero un simbolo.
Si tratta di un simbolo di potenza. Ogni Potere ne ha bisogno, per ostentare la propria forza, per dare la sensazione di pensare in grande, per indicare obiettivi che, per quanto impossibili, mobilitino e facciano discutere. Poi, alcuni simboli si realizzano: le piramidi dei faraoni, oppure i mausolei o, ancora, la corsa alla Luna e i super armamenti.
Altri restano ad aleggiare, quali simboli veri e propri, indicazione dell’impossibile che diventa possibile ma sempre e solo nel futuro.
Tuttavia, quando un Potere insiste eccessivamente sul simbolo, mentre esalta la propria forza comincia anche a dimostrare la propria debolezza.
Il tormentone della realizzazione del ponte è un elemento di vulnerabilità dell’attuale Governo, perché, insieme ad altri indizi (i sondaggi elettorali e l’idea non più nascosta di rivedere l’Italicum per evitare un rischiosissimo ballottaggio tra liste e rilanciare le coalizioni) lascia capire quanto ampio sia il distacco il distacco tra gli obiettivi del Governo e le esigenze reali.
Il tempo della piena intesa è finito. L’idea degli 80 euro, che ha trascinato il partito più ampio della maggioranza relativa ad un risultato larghissimo nelle elezioni europee del 2014, appare proprio passato. Era un’idea semplice, che parlava alle esigenze minute e spicce delle persone. Un investimento di 10 miliardi poco utile all’economia, ma nel suo complesso facilmente percepibile come, almeno, un’attenzione specifica ai problemi di molte famiglie.
Il passo è cambiato molto presto, e si è ricominciato a dover parlare in termini complessi: quantitative easing, clausole di salvaguardia, deflazione, tetto al deficit, clausole di flessibilità. Complicati termini di altrettanto complessi strumenti di macro economia, da affrontare necessariamente perché lo stato del debito pubblico rimane sempre delicatissimo e, quindi, manovre semplici e facili di trasferimenti finanziari come quella degli 80 euro non si possono fare più.
Allora, occorrono simboli. Occorre parlare del Pil che si prevede cresca allo 0,9% entro fine anno come il segnale di un Paese che riparte, anche se l’anno precedente, quando il Pil era dato in discesa di 0,2 punti sulle previsioni si affermava che pochi decimali di Pil in più o in meno non servono a nulla. Occorrono i simboli delle rilevazioni del mercato del lavoro, ma solo quelli positivi, ragionando sempre sul dato positivo e mai sui saldi.
Tutto questo non basta. Occorre il bersaglio grosso, quello che lascia pensare alla mobilitazione nazionale, come appunto il Ponte, per il quale, per altro, lo Stato ha già pagato 300 milioni di euro pur di non costruirlo.
Ma, mentre si parla di simboli, le esigenze spicce e minute si sono perse per strada. La “grande opera” irrealizzabile finisce per concentrare l’attenzione del Potere, mentre le piccole opere necessarie diventano sempre più difficili e tardive. Il Ponte dovrebbe collegare due regioni totalmente devastate da uno degli ormai consueti autunni di piogge insistenti. E’ vero che l’intensità di queste piogge è elevatissima. Altrettanto vero è che le strade siciliane e calabresi non sono mantenute in funzione come si dovrebbe da anni ed anni e lo stesso vale per le ferrovie, come purtroppo si è visto.
Il “simbolo bellissimo” però nell’immaginario del Potere resta il Ponte. Non un insieme di tante strade, piccole stazioni, caselli e snodi quali elementi di una rete efficiente di collegamenti stradali. Esattamente, cioè, quello che potrebbe simboleggiare la Gran Bretagna molto più della Tower Bridge e molto più del tunnel della Manica. Che, rispetto al Ponte sullo stretto, ha due differenze essenziali: sta sotto il livello del mare ed esiste davvero.