SUL SALVATAGGIO BANCARIO L’OMBRA DEL CONFLITTO DI INTERESSE
In cosa consiste il conflitto di interessi? Nella condizione di fatto per la quale un soggetto dotato di poteri pubblici sia condizionato nell’adottare le proprie decisioni dalla presenza di interessi privati personali o di propri congiunti, che contrastino anche solo in parte con gli interessi pubblici che dovrebbe perseguire esercitando il proprio potere.
Nell’ordinamento giuridico sono vigenti norme precise volte a prevenire il conflitto di interessi. Vi sono precetti che invitano ad agire “in posizione di indipendenza e imparzialità, astenendosi in caso di conflitto di interessi”. In particolare, occorre astenersi “dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi con interessi personali, del coniuge, di conviventi, di parenti, di affini entro il secondo grado. Il conflitto può riguardare interessi di qualsiasi natura, anche non patrimoniali”, in particolare quando si tratti di partecipare a “decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente”.
Alla luce di queste disposizioni, strettissime relazioni di parentela tra Ministri e loro congiunti in banche o, comunque, soggetti imprenditoriali che possano in qualsiasi modo beneficiare di interventi normativi del Govermo volti ad eliminare ipotesi di responsabilità civile per mala amministrazione o, comunque, a prevedere benefici speciali, di per sé danno l’idea dell’esistenza di conflitti di interessi, anche solo potenziali.
Della vicenda delle 4 banche “salvate” dal Governo non dovrebbe destare alcuna meraviglia che si ponga il problema del conflitto di interessi del Ministro Boschi. La vera sorpresa, semmai, consiste in due elementi.
Il primo, il fastidio col quale molti prendono in considerazione chi, appunto, pone il problema dell’esistenza del problema. Dovrebbe considerarsi del tutto normale che in un sistema aperto e trasparente si chieda conto ai chi governa delle modalità con le quali ha partecipato all’adozione di decisioni, risultando del tutto chiaro ed evidente che l’assenza ad una seduta non può considerarsi sufficiente a scongiurare i conflitti di interesse. La seduta del Consiglio dei Ministri, come di qualsiasi altro organo pubblico, è solo l’ultima di una fase molto ampia e lunga, nella quale si costruiscono i presupposti per giungere alla decisione formalizzata, poi, nella seduta dell’organo. L’astensione non riguarda, dunque, solo la seduta finale, ma il non prendere in nessun modo parte e posizione in merito alla questione, nemmeno in fase semplicemente istruttoria.
Il secondo elemento di “sorpresa” sta nella circostanza che le norme piuttosto chiare citate prima sono contenute nel decreto del Presidente della Repubblica numero 62 del 2013. E la “sorpresa” qual è? Tale decreto riguarda esclusivamente i dipendenti pubblici, poiché si tratta del “codice di comportamento” ad esso dedicati.
Se le disposizioni del codice di comportamento avessero come destinatari anche i componenti degli organi di governo a vario livello, l’Italia avrebbe fatto un piccolo passo in avanti verso la creazione di una disciplina di prevenzione del conflitto di interessi. Che, invece, manca praticamente del tutto riguardo agli organi politici.