RENZI IL BUONO BOERI IL CATTIVO SULLE PENSIONI IL GIOCO DEI COMPARI
Sulle pensioni un intervento molto pesante di redistribuzione del carico, con limatura anche significativa di quelle considerate “alte” ci sarà certamente. Non sappiamo solo quando e l’ammontare preciso dell’intervento.
Gli indizi per essere certi di un futuro (nemmeno troppo lontano) intervento sono almeno due e sono estremamente probanti.
Il primo è il gioco del “poliziotto cattivo” e del “poliziotto buono”. Nella parte del “cattivo” è calato l’attuale presidente dell’Inps, l’economista Tito Boeri. Nonostante il premier sia riuscito ad imporre ai suoi ministri e a gran parte dei grand commis un ferreo controllo sulle esternazioni non autorizzate, da diverse settimane e mesi a Boeri viene lasciata briglia sciolta, per proporre urbi et orbi le sue idee di riforma pensionistica.
Tanto che alcuni giornali di recente stanno stigmatizzando la circostanza che Boeri si stia comportando da vero e proprio “ministro ombra” o, piuttosto, “tecnico che fa ombra” al titolare del dicastero del lavoro, Giuliano Poletti, il quale, per il ruolo rivestito, dovrebbe essere colui che formula ipotesi di riforma delle pensioni, divulgandole.
Se Boeri viene lasciato libero di illustrare, dichiarare e proporre senza alcuna accusa di invasione di campo da parte di un premier attentissimo alla comunicazione esterna e non farsi pestare i piedi da nessuno, una ragione vi deve essere. Ed è facile comprenderla: Boeri non può non agire d’intesa col premier ed il Ministro del lavoro. E recita la parte del cattivo, per far sì che attraverso i media si “sondi” il “mercato”, cioè il corpo elettorale, cosa per altro utilissima visto che in tanti scommettono su elezioni da tenersi ben prima della scadenza del 2018.
In questo modo, il presidente del Consiglio Renzi potrà giocare la parte del “poliziotto buono” e, quando interverrà il Governo potrà rivendicare l’autonomia dal “tecnico” Boeri, evidenziando la diversità della decisione finale e, probabilmente, un impatto sulle pensioni inferiore a quello proposto dal presidente dell’Inps, così da ridurre il rischio della perdita di consenso.
Il secondo indizio è ancora più evidente, perché è reso evidente dai numeri. Basta guardare il Def (documento di economia e finanza) per rendersene conto. La nota di aggiornamento dell’ottobre scorso ci informa che nel 2016 la spesa pubblica totale dell’Italia sarà di 840 miliardi, dei quali 262 miliardi solo per le pensioni, pari al 31% del totale. Poiché riforme fallimentari come quella delle province (incidenti sulla spesa pubblica per poco più dell’1%) dimostrano che comprimere la spesa in modo efficiente è complicato, se davvero l’Italia vorrà ridurre il deficit e non continuare a rinviare all’infinito la copertura della spesa pubblica sempre crescente attraverso le clausole di salvaguardia, dovrà necessariamente tagliare davvero la spesa. E un taglio efficace non si può che ottenere da voci molto rilevanti della spesa.
Le pensioni costituiscono l’aggregato di spesa più alto del bilancio pubblico. Dunque, la scelta di intervenire nuovamente è certamente inevitabile.
Ci sarà da vedere semplicemente quale concezione il Governo darà delle “pensioni alte”. La vicenda dell’incostituzionalità del blocco delle indicizzazioni ci ha fatto capire che tendenzialmente si considerano “alte” pensioni da 3400 euro lordi al mese. Se questi sono i chiari di luna, il ceto medio deve prendere urgentemente atto di essere destinato ad ulteriori e fortissimi sacrifici.