Nel “fondo” dei cieli l’integrazione per i dipendenti del trasporto aereo e l’ipotesi di finanziamento per le città metropolitane.
Volate in alto, volate tanto. No, non è un’incitazione a superare la crisi e a puntare nel rilancio dell’economia. E’ l’esortazione che, indirettamente e senza che troppi lo sappiano, il Governo rivolge a tutti, italiani e non, per pagare la cassa integrazione di lusso dei dipendenti di Alitalia e, in prospettiva, l’azzardo dell’istituzione delle città metropolitane.
Andiamo con ordine. Nei giorni scorsi il nuovo presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha svelato come viene finanziato il Fondo Speciale per il Trasporto Aereo (FSTA).
Si tratta di un fondo di “categoria” finalizzato alla protezione sociale per il caso di sospensione lavorativa dei dipendenti interessati (la cassa integrazione o i contratti di solidarietà) o per il caso di licenziamento (mobilità). Il portale “Plastidio.net” spiega che i “lavoratori destinatari della prestazione integrativa sono sia il personale di volo (piloti e assistenti di volo), sia il personale di terra, per un totale di circa 150.000 potenziali beneficiari (mediamente 1 su 10 ne usufruisce ogni anno)”.
L’Inps ha rivelato che l’integrazione salariale assicurata dal fondo “garantisce il raggiungimento dell’80% della retribuzione comunicata dall’azienda all’Inps al momento della richiesta del trattamento integrativo, fino ad un massimo di 7 anni. Pertanto i lavoratori possono percepire una prestazione che supera di gran lunga il massimale di 1.167,911 Euro previsto per la prestazione di CIGS e di mobilità. La prestazione integrativa supera spesso, soprattutto nel caso dei piloti, i 10 mila euro mensili lordi, con casi limite in cui la prestazione si avvicina ai 30 mila euro lordi al mese”.
Un trattamento non da poco, che assicura a personale di terra e soprattutto piloti (grazie alla loro particolare forza negoziale) 7 anni di integrazione salariale. Qualcosa che nessun’altra categoria di lavoratori si immaginerebbe.
Cosa c’entra, allora, l’imbarco? Moltissimo. L’Inps ha, infatti, reso noto che pur trattandosi di un fondo di categoria, la categoria interessata (imprese aeree e lavoratori) versa solo 2% del consistentissimo finanziamento. Il restante 98% viene ricavato da una sovrattassa ai diritti comunali di imbarco, pari a 3 euro. Dunque, sono i passeggeri che sostengono la solidarietà di piloti e personale di volo. Non le imprese, che dovrebbero farlo attraverso i propri ricavi, non i lavoratori, col cofinanziamento.
Pochi sapevano che la cosiddetta “tassa di imbarco” (balzello già di per sé odioso), invece di essere destinata al sostegno delle opere infrastrutturali degli aeroporti e all’abbassamento delle emissioni, finanzia ciò che dovrebbe essere solo onere delle parti datoriali.
Dunque, più voliamo, più permettiamo alle parti interessate (soprattutto l’Alitalia) di gestire in deficit: tanto, la cassa integrazione e la mobilità è pagata col balzello.
Ma non è finita. Le città metropolitane nate dalla scricchiolante riforma delle province, sono già piene di debiti prima ancora di aver visto la luce. Sì, perché la riforma Delrio ha puntato proprio sugli enti più malmessi, che generalmente coincidono con le città maggiormente popolose.
Poiché le città metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e Reggio Calabria) sono governate dai sindaci dei comuni capoluogo, questi, accortisi delle finanze molto incerte ereditate, ora battono cassa. I tagli apportati dal Governo, con la legge di stabilità per il 2015, al comparto province e città metropolitane sono insostenibili. E comuni come Roma e Reggio Calabria, già in dissesto, non possono permettersi di sostenere anche le spese del nuovo ente.
Dunque, avete già indovinato? Un’ipotesi che è già in fase molto avanzata di studio è maggiorare ulteriormente la tassa di imbarco, per finanziare le città metropolitane. Nonostante, a dire del Governo, la riforma delle province avrebbe dovuto comportare minori spese e riduzione delle tasse.