MENO CONTRIBUTI PIU’ SOLDI IN BUSTA IN FUTURO PENSIONI PIU’ BASSE. PER ADESSO E’ SOLO UN’IDEA
Sulle pensioni si sta innescando un vero e proprio gioco delle tre carte. L’idea, promossa, forse come tentativo per “vedere come butta” è di questo tipo: riduciamo del 3% i contributi pensionistici alle imprese e di un altro 3% ai lavoratori, così da far avere loro 42 euro in più al mese (in media) in busta paga, da poter spendere, affermando che così si riducono le tasse e si possono rilanciare i consumi.
Peccato, però, che in questo modo, con la riduzione dei contributi oggi, si depauperano e in modo molto significativo le pensioni di domani, portando l’Inps sull’orlo dello squilibrio.
Inoltre, la “comunicazione” politica dei dati, in questi mesi, finisce sempre per presentare una realtà virtuale: se si agisce sui contributi previdenziali, non si riducono affatto le imposte, ma, appunto, i contributi previdenziali, che sono un’altra partita.
Le imposte si riducono esclusivamente agendo sulle aliquote fiscali: questo è un principio elementarissimo del diritto tributario e del fisco. Aumentare quanto percepito in busta paga agendo sui contributi non è una riduzione delle tasse, bensì un azzardato sistema che porta a scommettere sul futuro, a costi dei lavoratori.
Sì, perché quando si abbassano le imposte, è la pubblica amministrazione a mettersi in gioco, costretta a ridurre simmetricamente la spesa, per non aumentare deficit e debito (cosa che, comunque, lo Stato non sta assolutamente facendo, per altro). Se si riducono i contributi previdenziali, si “gioca” con soldi che sono già del lavoratore: i 42 euro “medi” non sarebbero, dunque, per nulla un aumento stipendiale.
La scommessa di questo gioco delle tre carte è sempre la stessa: l’allargamento dei consumi, l’invito alla spesa e al rilancio dell’economia tramite, appunto, l’allargamento dei cordoni della borsa dei consumatori.
Ma, se il Governo, a due anno ormai dal proprio insediamento e dalla famosa elargizione degli 80 euro, a 24 mesi si ritrova di nuovo ad escogitare nel laboratorio da alchimista “ideane” per rilanciare i consumi, ammette indirettamente che le tattiche sin qui seguite hanno fallito. A partire proprio dagli 80 euro, che non hanno rilanciato in alcun modo i consumi, ma gravano ogni anno per circa 10 miliardi di spesa (perché non è una riduzione di tasse, ma un trasferimento ad alcune cerchie di lavoratori). Ma, si potrebbe continuare enumerando gli sgravi alle imprese (12 miliardi in 3 anni), serviti solo a trasformare contratti di lavoro già in essere, con soli 111.000 posti di lavori in più in un anno, o l’eliminazione – in deficit – dell’Imu sulla prima casa.
Le manovre economiche, fin qui, sono state lontane dal cogliere i risultati immaginati. E il +0,8% di Pil di cui in questi giorni il Governo si vanta, frutto di strane correzioni dell’Istat che aveva per tutto il 2015 segnalato una crescita allo 0,6%, resta comunque legato a fattori esterni (petrolio bassissimo, intervento della Bce per acquistare i titoli del debito pubblico), per altro a loro volta profondamente segnati da un’economia internazionale nuovamente in crisi profonda.
Se, dunque, per dare l’impressione di aumentare il reddito disponibile utilizzando i soldi degli stessi lavoratori (la cosa ricorda un po’ l’idea del Tfr in busta paga) vuol dire che gli spazi di manovra sono proprio pochini o, molto più probabilmente, che la strada segnata è proprio sbagliata.
Luigi Oliveri