LO SPREAD E’ BASSO MA GLI “SWAP” STIPULATI CON LE BANCHE D’AFFARI HANNO IMPORTI MILIARDARI.
L’Italia ripaga il suo debito non tanto e non solo con i tassi di interesse, quanto con i contratti di “assicurazione” stipulati con le banche che acquistano i suoi titoli del debito pubblico e i profitti milionari che questi assicurano.
Chi ha visto la puntata di Report dello scorso 26 aprile 2015 ha potuto assistere ad uno squarcio impressionante della reale situazione dei conti pubblici.
In estrema sintesi, la situazione emersa dall’inchiesta, nonostante le reticenze del Tesoro che non fornisce né alla stampa, né perfino al Parlamento i dati sui contratti “derivati” gestiti dal Paese, è la seguente.
L’Italia sin dagli anni ’90 ha “abbellito” i suoi conti con entrate di cassa che facevano apparire un avanzo di entrate rispetto alle uscite necessario per entrare nell’Euro, scaturenti dalla stipulazione di contratti “derivati” o “swap”. Si tratta di una serie complicata di contratti con le banche, grazie ai quali esse riconoscono al contraente anticipi di cassa, a fronte dell’assicurazione di profitti certi per le banche medesime, qualora la modifica delle condizioni di mercato sui titoli del debito pubblico rendessero i contratti una sorta di vera e propria cedola in bianco, pronta all’incasso.
L’Italia ha stipulato questi contratti per proteggersi dalle conseguenze di eventuali aumenti dei tassi di interesse sul debito. Ma, dalla metà degli anni 2000, a causa delle politiche monetarie della Bce, i tassi si sono sempre più abbassati. Dunque, paghiamo delle cifre iperboliche alle banche, per proteggerci da un rischio inesistente da quasi 10 anni. La cosa, non fa altro che accrescere la spesa pubblica ed il debito potenziale. A inizio anno, abbiamo pagato alla banca d’affari Morgan Stanley 3,1 miliardi, scaturenti da un derivato stipulato nel 1994, che la banca è passata all’incasso di recente.
L’inchiesta, di fatto, ha spiegato che se le maggiori banche d’affari acquistano titoli del debito pubblico italiano a tassi bassissimi, oggettivamente generosi rispetto al volume spaventoso del debito pubblico italiano, non lo fanno certo né perché sono buoni samaritani, né per una fiducia particolare sulla capacità del Paese di tenere in equilibrio i conti. Lo fanno perché a fronte di questi acquisti, ottengono contratti swap miliardari, che possono riscuotere come e quando vogliono e che creano, alla data del dicembre 2014, un rischio potenziale di pagare loro oltre 42 miliardi di euro.
Una sorta di do ut des per tenere lo spread italiano sui tassi di interesse basso, che però viene garantito dall’obbligo dell’Italia di pagare alle banche importi stratosferici provenienti dai contratti “derivati”, che l’inchiesta ha dato la sensazione siano stipulati proprio per ottenere la benevolenza delle banche e, dunque, l’acquisto di titoli del debito pubblico italiano, che altrimenti avrebbero tassi di interesse molto più elevati di quelli attuali, quasi sotto zero.
Un meccanismo davvero pericoloso, anche per l’opacità totale di questi contratti, dei quali non è consentito conoscere il contenuto.
Ma, che qualcosa non torni l’inchiesta lo ha dimostrato anche evidenziando come moltissimi ministri ed alti dirigenti del Tesoro con continue porte girevoli negli anni siano passati dai loro incarichi pubblici ad incarichi o consulenze milionarie per quelle stesse banche che acquistano i titoli del debito pubblico o con le quali abbiamo stipulato i derivati: ci sono passati Draghi, Siniscalco, la Lanzillotta, Grilli, Amato.
E’ opportuno ricordare che la legge anticorruzione, che è solo del 2012, vieta ai dipendenti pubblici di essere assunti o prestare consulenze presso soggetti privati con i quali abbiano avuto rapporti legati al ruolo rivestito nei propri uffici, dovuto alla carica, per evitare che “favori” eventuali possano essere ricompensati con assunzioni e ricche consulenze. Tutto questo, come ha dimostrato Report, è invece regolarmente avvenuto negli anni per chi ha gestito il debito italiano con le grandi banche. Non resta che fidarsi ciecamente nella totale integerrimità dei protagonisti e professare assoluta certezza che questi incarichi continui negli istituti bancari non siano frutto di particolari benefici ottenuti nella gestione del d