LE RIFORME NON BASTANO A BLOCCARE UNA CRISI CHE SEMBRA NON AVERE FINE
A 24 mesi dall’insediamento del Governo, si sono ripresentati i fantasmi della crisi ormai senza fine dal 2008.
L’impressione netta è che l’Italia, nonostante tutto, sia ancora debolissima ed esposta come sempre ai rischi dovuti alla propria situazione finanziaria, legati all’enorme debito pubblico.
La nuova impennata dello spread e la palmare insufficienza degli aiuti della Bce stanno, tuttavia, a dimostrare che sia alla Ue, sia ai mercati, non basta semplicemente parlare di “riforme”.
Per 24 mesi, il Governo ha insistito nell’affermazione che , una volta adottate le “riforme”, l’Italia si sarebbe rafforzata ed avrebbe ottenuto una nuova credibilità iternazionale (meglio sorvolare sull’idea dell’Italia “nuova locomotiva d’Europa”).
Il problema è che non basta “sfornare” riforme purchè siano. Per ottenere l’obiettivo di stabilizzare la situazione del Paese occorrono riforme capaci di ridurre il debito e la spesa pubblica e stabilizzare il sistema bancario. Esaminando le principali riforme prodotte in questi non si ha per nulla la sensazione che l’Italia abbia seguito queste linee, le uniche che i mercati e la Ue pretendano.
La riforma della Costituzione, per altro non ancora vigente, non ha, come ovvio, alcuna utilità e rilevanza ai fini del risanamento economico. La riforma del mercato del lavoro non poteva rilanciare l’economia: rendere più semplici i licenziamenti non aiuta le imprese ad assumere, perchè per incrementare i posti di lavoro occorre un’economia sana, che non c’è ancora. La riforma delle province ha avuto il solo effetto di creare 1,2 miliardi di maggior debito per questi enti, indurli per la quasi totalità a violare il patto di stabilità, incidere negativamente sui servizi e scaricare sulle regioni circa 2 miliardi di spesa, per coprire un prelievo forzoso imposto dallo Stato alle province stesse; l’utilità della costituzione delle città metropolitane è assolutamente non pervenuta. La riforma delle garanzie sulle banche, disposta a novembre anticipando gli effetti del “bail in” ha portato ai disastri delle 4 banche da risanare. La riforma della pubblica amministrazione è ancora solo sulla carta. La riforma della scuola non ha prodotto nessun risultato utile, oltre a quello di aver verticalizzato e concentrato i poteri sui dirigenti scolastici.
Non c’è da stupirsi se i mercati tornino a considerare l’Italia nuovamente a rischio. Anche perchè, invece di attuare politiche di riduzione della spesa e contrazione del debito, in questi mesi abbiamo visto espandersi il deficit pubblico, per sostenere spese di utilità che non può più nemmeno considerarsi dubbia, visto che i fatti dimostrano la loro inesistente attitudine a spingere la ripresa: gli 80 euro o gli sgravi alle imprese che assumono: qualcosa che costa in un triennio oltre 30 miliardi.
In più, non è stata realizzata alcuna reale e significativa revisione della spesa. Nel contempo, l’incremento del deficit viene “coperto” da clausole di salvaguardia (incrementi di tasse a regime per circa 40 miliardi), rinviate per ora al 2017, ma che prima o poi presenteranno il conto.
In questo quadro, l’Italia ha ben poco da attendere che la Ue accetti di espandere la flessibilità sui conti e si espone fin troppo alle valutazioni impietose delle borse.