IL GOVERNO PROMETTE MENO TASSE MA C’E’ IL RISCHIO DI UN NUOVO INDEBITAMENTO
La riduzione di 50 miliardi di tasse in 5 anni promessa dal governo potrebbe davvero essere mantenuta. Ma, purtroppo, questa non è affatto una buona notizia.
Renzi ha già dato prova di voler davvero mantenere i propri impegni. Costi quel che costi. L’emblema, citato da molti suoi sostenitori, è l’elargizione degli 80 euro, episodio evidenziato da chi vuol sottolineare che quando il premier ci mette la faccia, allora va dritto come un treno e non si ferma di fronte ad alcun ostacolo.
Il problema, però, è proprio questo. Gli 80 euro, che costituiscono una maggiore spesa pubblica di 16 miliardi tra il 2014 e il 2015, sono stati un azzardo economico, che però non ha prodotto alcun frutto, se non di natura elettorale. Sono valsi l’exploit alle elezioni europee, ma non hanno dato per nulla la “scossa” immaginata all’economia, col rilancio dei consumi, i quali sono rimasti lì, fermi a languire.
Perché un azzardo non è comunque in grado di sovvertire le (poche) leggi efficaci dell’economia, tra le quali vi è quella notissima dell’incremento della propensione al risparmio nei tempi di crisi. Sicchè gli 80 euro sono rimasti integri nelle disponibilità dei destinatari o al massimo sono stati utilizzati per pagare debiti pregressi, senza, dunque, consentire alcuna crescita a consumi e Pil.
E occorre ricordare che gli 80 euro risultano coperti anche loro dalle famigerate “clausole di salvaguardia”, cioè gli aumenti di Iva e accise (16 miliardi nel 2016), che il Governo vuole evitare, ma previsti dalla legge di stabilità targata Renzi, qualora la situazione economica non dovesse migliorare.
La riduzione di 50 miliardi di tasse (che si sommerebbe alla promessa di disinnescare una trentina di miliardi da “clausole di salvaguardia”) rischia di essere a sua volta un azzardo. Il perché non sta tanto sull’enormità della somma, quanto sul modo col quale si intuisce che il Governo prevede di coprire il simmetrico ammanco di entrate per lo Stato: tutte voci sostanzialmente aleatorie e molto perniciose per l’economia.
Si parte, infatti, dalla sempiterna e mai efficacemente avviata spending review, per passare dalla crescita del prodotto interno lordo (che si rivela regolarmente molto inferiore alle previsioni), per giungere alla crescita dei consumi e, dunque, di nuovo del Pil determinata dalla riduzione delle tasse; ma, soprattutto, il Governo intende ottenere dalla Ue maggiore “flessibilità” sulle regole imposte alle finanze pubbliche, posponendo il termine entro il quale raggiungere il pareggio di bilancio e ottenendo di nuovo maggiori spazi al deficit. Nel 2016 il rapporto deficit/pil dovrebbe scendere all’1,8%, il Governo ha dichiarato di pensare di tornare verso il 3%.
Si tratta, allora, di finanziare gran parte della riduzione delle tasse promesse in deficit, cioè mediante spesa pubblica non coperta da correlative entrate. Il che, come dovrebbe essere facile capire, crea tutti i presupposti per un aumento del debito, dal momento che solo col debito è possibile finanziare il delta da minori entrate che il Governo sa bene sia impossibile coprire con le aleatorie altre voci di entrata descritte prima.
Il risultato finale, dunque, della manovra di riduzione potrebbe essere nuovo indebitamento. Ma, se l’Italia si trova in una situazione di conclamata crisi ed incapacità di innescare una crescita economica degna di tal nome, è soprattutto per il debito enorme che la schiaccia, oltre i 2.200 miliardi. Che è anche la causa per la quale i mercati guardano comunque con sospetto ed apprensione ogni manovra economia del Bel Paese, a dispetto di tassi e spread, che sono sì favorevoli, ma per ragioni solo esterne: il Quantitative Easing della Bce (l’immissione di denaro nelle banche europee) e il basso costo dei prodotti petroliferi.
Se alla fine l’azzardo dovesse essere attivato, il rischio evidente è che l’Italia si ritroverà a finanziare i propri deficit non tanto e non solo più con nuovo debito, ma con un gioco al rinvio senza fine di clausole di salvaguardia e misure di risanamento. Finchè qualcuno non verrà a bussare alla porta, per chiedere il conto.