Dirigenti inamovibili? Possono essere licenziati ed è possibile la rotazione.
I temi della riforma della dirigenza in discussione al Senato si intersecano strettamente con quelli della lotta alla corruzione.
I media insistono sul problema da risolvere della presunta inamovibilità dei dirigenti e della necessità di “introdurre” regole per la loro rotazione. Il Ministro della pubblica amministrazione, Madia, da diverso tempo rilascia interviste per ribadire questi concetti ed affermare che occorre fare in modo che i dirigenti “inadeguati” possano essere licenziati.
Il caso che coinvolge Incalza dimostra, invece, che è vero l’esatto contrario. Non è affatto corrispondente alla realtà che i dirigenti pubblici siano inamovibili. Precise disposizioni di legge (l’articolo 21 del testo unico sul pubblico impiego, d.lgs 165/2001) consentono da almeno 22 anni di licenziare il dirigente inadeguato. Né è vero che occorra la riforma per la rotazione dei dipendenti e, in particolare dei dipendenti pubblici. La legge “anticorruzione” 190/2012 prevede obbligatoriamente la misura della rotazione dei dirigenti nei settori particolarmente esposti ai rischi di corruzione: tra questi settori, la medesima legge individua proprio quelli degli appalti.
Allora, analizzando molto semplicemente le disposizioni già vigenti nell’ordinamento, risulta smentita la necessità di una riforma della pubblica amministrazione allo scopo di rimuovere i dirigenti inadeguati e prevederne la rotazione come misura di prevenzione della corruzione.
Poiché le cose stanno così, dunque, il problema è capire chi e perché non rimuove i dirigenti inadeguati e non adotta i provvedimenti di rotazione.
Torniamo ad Incalza: è stato collocato a dirigere la struttura di missione delle opere strategiche previste nella legge obiettivo dal Governo Berlusconi 2; poi è stato revocato nell’incarico da Di Pietro col Governo Prodi 2; poi, reinserito a capo della struttura e più volte confermato in sequenza dai governi Berlusconi 3, Prodi, Letta e, ora, Renzi. Addirittura, l’ultima conferma ha richiesto deroghe e procedure speciali, perché Incalza era andato in pensione.
Ma, allora, il problema va ribaltato. Posto che la legge consente da sempre di licenziare i dirigenti o di rotare gli incarichi, perché chi poteva non l’ha fatto?
Resta il sospetto che quello che viene chiamata “inamovibilità” sia, piuttosto, potere di ricatto. Incalza talmente era amovibile che, a un certo punto, è stato rimosso dall’incarico.
E’ evidente che per rimuovere o cambiare incarico un dirigente occorre non essere suoi sodali, non esporsi con troppe informazioni o complicità, per potere e dovere avere la libertà di valutare e decidere sui rinnovi.
Incalza, a quanto si apprende, era già all’epoca dell’ennesimo rinnovo ottenuto da Lupi oggetto di indagini della magistratura. E’ da chiedersi se fosse adeguato alla gestione di appalti un dirigente indagato per questioni connesse agli appalti e se non fosse doveroso prevedere quanto meno la rotazione del suo incarico.
E’, ancora, da chiedersi se sia ammissibile una riforma della dirigenza pubblica come quella depositata al Senato, che ha l’effetto paradossale di stringere ancora di più i rapporti fiduciari, soppiantando il merito e le selezioni concorsuali, tra politica e dirigenza. Un sistema che finirebbe per incrementare proprio quelle coperture reciproche di affari opachi, che ingenera fenomeni come quelli all’attenzione di oggi, ripetitivi, comunque, di decine di altri casi, dal Mose a Mafia Capitale, dall’Expo alla Cricca. Dove i dirigenti, amovibilissimi, restavano sempre lì, senza che chi disponeva del potere di rimuoverli o rotarli lo applicasse mai.