DIPENDENTI PUBBLICI IN PART TIME PER FAVORIRE L’OCCUPAZIONE GIOVANILE? E’ SOLO UN’IDEA BIZZARRA.
Staffetta generazionale con oneri previdenziali a carico del lavoratore. L’idea, che sta maturando al Senato nell’ambito della discussione sul disegno di legge delega per la riforma della pubblica amministrazione, non si sa se sia ironica o geniale.
L’impostazione di fondo sarebbe questa: nella PA l’età media dei dipendenti è molto alta, per effetto di quasi 15 anni di blocchi di vario genere al ricambio. Dunque, occorre favorire il pensionamento anticipato, per consentire l’assunzione dei giovani. Ma, ovviamente, prepensionamenti non se ne possono garantire, specie dopo la devastante esperienza degli esodati nel settore privato.
Sicchè, l’idea avanzata in Senato è: permettere ai dipendenti pubblici alle soglie della pensione di modificare l’orario di lavoro costituendo un part time del 50%; ma, visto che come le casse dello Stato non possono permettersi prepensionamenti, allo stesso modo non potrebbero consentirsi il lusso di pagare ai dipendenti in part time i contributi al 100%, la soluzione che sta prendendo forma sarebbe di accollare ai dipendenti pensionandi in part time anche gli oneri previdenziali.
Insomma, non solo si dimezzerebbe uno stipendio che, nel lavoro pubblico è in media di circa 1300 euro, ma il “fortunato” che scegliesse di dare spazio ai giovani dovrebbe anche pagarsi gli oneri contributivi da qui al pensionamento.
Il legislatore italiano non smentisce se stesso nel ricercare idee bizzarre e poco efficaci di politica del lavoro, economica e previdenziale. E’ evidente che un’impostazione siffatta di simile “staffetta generazionale” avrebbe un’efficacia pari allo zero, esattamente come quella dell’analoga previsione della legge-Giannini del Governo Letta per il settore privato.
Governo e Parlamento appaiono affascinati dalla narrazione del “conflitto generazionale” in base al quale gli anziani, cattivi, tarpano le ali ai giovani, impedendo loro di fare scorribande nelle praterie immense del mercato del lavoro. Si tratta di un’analisi superficiale, che parla alla pancia dell’elettorato, molto utile per chi, nel marketing politico, presenta gioventù e rapidità come qualità indispensabili, al di là del merito delle decisioni e della loro reale efficacia.
Si dimentica che se gli “anziani” restano al lavoro a lungo non è certo per loro scelta, ma per l’allungamento ipertrofico della vita lavorativa, deciso da chi, Governi e Parlamenti, poi si stupiscono che gli anziani al lavoro facciano da tappo alle opportunità per i giovani.
Si dimentica, poi, soprattutto, che il conflitto generazionale di cui si parla è molto utile per scriverne libri da presentare nei vernissage. Ma, la situazione reale è molto diversa. La situazione di crisi economica sempre più profonda, la stretta creditizia, la disoccupazione rende molto più comodo per una famiglia che i genitori restino al lavoro e così possano sostentare anche i figli che quel lavoro non trovano. Scambiare uno stipendio magari corroborato da un po’ di anzianità, per un lavoro del figlio che probabilmente si rivelerebbe poco più di uno stage o di un rapporto flessibile sottopagato, non conviene a nessuno.
Meno che mai la staffetta generazionale nel lavoro pubblico può funzionare se lo Stato non fa una seria valutazione della somma algebrica tra maggiori costi previdenziali e risparmi da spesa corrente per stipendi pubblici (circa 163 miliardi all’anno), adottando una soluzione che risulti anche di poco conveniente, ma che non si riveli una sostanziale presa in giro, come la pretesa dell’accollo degli oneri previdenziali. Il sistema potrebbe essere introdurre, come già sarebbe possibile, l’apprendistato anche nel lavoro pubblico.
In ogni caso, se non riparte l’economia e non si riaprono spazi per investimenti e spesa anche pubblica, che consenta davvero il ricambio, nessuna staffetta generazionale può essere seriamente concepita.