DIGNITOSE LE DIMISSIONI DI WINTERKON MA NON ASSOLVONO LA VOLKSWAGEN DALLE PROPRIE RESPONSABILITA’
Chi sbaglia paga e le regole pubbliche, l’apparato pubblico, sono un presidio indispensabile contro gli abusi del “mercato”.
Lo scandalo della Volkswagen consente di ottenere conferma (molto teutonica) di due precetti, che in questi ultimi anni sembrano essere divenuti desueti.
Martin Winterkorn, amministratore delegato della casa automobilistica di Wolfsburg, ha compiuto un atto di estrema dignità, ma oggettivamente doveroso: ha annunciato le proprie dimissioni (prima ancora che qualcuno gliele chiedesse), pur negando un suo diretto coinvolgimento nella truffa dei software di controllo delle emissioni inquinanti.
Un gesto che dà dignità alla persona, pur non riscattando il comportamento inaccettabile della Volkswagen.
L’atto di Winterkorn dovrebbe fare riflettere: il vertice di un’azienda, specie se strapagato quando tutto va bene e, comunque, non certo in condizioni economiche da dover chiedere sussidi da disoccupazione, deve comunque rispondere personalmente di scandali come quello cui stiamo assistendo.
Purtroppo, le dimissioni dell’AD di Volkswagen fanno molta notizia, perchè, soprattutto per l’Italia, costituiscono un atto più unico che raro. Troppi sono stati i casi analoghi, nei quali i vertici di aziende (specie pubbliche) si sono ben guardati dall’assumersi le proprie responsabilità.
Come detto sopra, comunque il gesto di Winterkorn non può far perdonare la violazione spregiudicata e intollerabile delle regole anti inquinamento realizzata dalla Volkswagen.
La vicenda conferma quanto illusoria sia l’idea di chi continua a ritenere che lo Stato debba ritrarsi, che il “pubblico” sia invadente, costoso e inutile, mentre il “privato” ed il “mercato” sono da soli, senza vincoli e pesi normativi, in grado di produrre ricchezza e benessere. Mentre Adam Smith teorizzava sulla ricchezza delle nazioni, le industrie soffocavano di miasmi i lavoratori sottopagati e interi quartieri di città.
Il mercato non si autoregola. Il darwinismo imprenditoriale induce sempre e comunque le imprese a violare le regole di concorrenza, per accaparrarsi il mercato al minor costo possibile, anche a costo di violare la salute pubblica. E’ un fatto ben noto, ma che si finge di ignorare.
Il “privato” guarda al proprio interesse: ricadute benefiche nella produzione esistono, sono innegabili e va certo favorita la produzione. Ma, le regole occorrono. E l’unico che possa fissare modi di conciliare interessi generali, come concorrenza, salute e sviluppo, con interessi particolari imprenditoriali è e resta lo Stato. Il cui operato di fissazione di regole, limature dei rapporti sociali, intervento per eliminare i troppi pericoli di distorsione che il liberismo selvaggio produce non dovrebbe essere più messo in discussione.