In Europa oltre 500.000 le donne infibulate.

Ricorre, come ogni anno, la festa della donna, giornata istituita per ricordare le lotte ed i sacrifici che il genere femminile ha affrontato per acquisire i diritti e le opportunità che per millenni gli sono stati negati. E’ quindi l’occasione per riflettere su un tema che ci appare insolito, perché aprioristicamente abiurato dalla nostra mentalità, ma che è invece tragicamente attuale , quello dell’infibulazione femminile.
Si stima che vivano 500.000 donne infibulate in Europa e che ogni anno 180.000 bambine rischino di essere sottoposte a questa pratica. Esiste nel nostro ordinamento la legge 7/2006 che ha inserito una norma incriminatrice ad hoc contro le mutilazioni genitali, facendo richiamo a dei nostri fondamentali valori costituzionali, quali quello della dignità della persona nel suo vivere inserita in società (art 2 cost.), la parità dei sessi (art 3 cost.) e il valore della tutela della salute (art 32 cost.).
A causa di tale divieto, la totalità di queste pratiche viene effettuata in condizioni di scarsa sicurezza che conducono spesso alla morte delle bambine e delle donne che vi sono sottoposte. I valori che la cultura islamica richiama a sostegno della necessità di questa pratica sono tuttavia gli stessi che invochiamo noi per negarla. L’infibulazione è infatti una mutilazione genitale femminile che segna un rito di passaggio per la donna obbligatorio per il suo inserimento in società. Una donna non infibulata è esclusa ed emarginata dalla sua comunità di appartenenza, quindi tale pratica è vista dai seguaci della sunna come un atto di cura piuttosto che di violenza.
Un ginecologo somalo, Abdul Kadir, esercente all’ospedale di Careggi (Toscana), propose nel 2003 la medicalizzazione incruenta della pratica di infibulazione, ponendo più l’attenzione sul suo aspetto rituale senza ledere l’integrità fisica delle donne. La proposta arrivò ad essere discussa in sede di consiglio regionale in Toscana ma subentrò l’insurrezione delle associazioni femministe che la rifiutarono dicendo che oltre che per gli aspetti fisici, l’infibulazione è una pratica lesiva soprattutto della dignità femminile, costringendo le donne alla sottomissione.
Se viene risparmiata l’integrità fisica delle donne, perché non consentire l’infibulazione simbolica?
E’ legittimo sacrificare il principio costituzionale della parità dei sessi in virtù della salvaguardia di quello della tutela della salute e dell’integrità della persona umana?
La nostra ormai esausta cultura occidentale è una rete da pesca dalla maglia troppo larga, quante altre occasioni di democrazia lasceremo che vi scivolino attraverso? Tuttavia forse siamo ancora in grado di trattenere qualcosa di irrinunciabile. Medicalizzare questa pratica, porla a carico del servizio sanitario nazionale significa renderla lecita per legge. I nostri principi democratici fanno sì che la legge debba valere per tutti, non solo per una (ancora per quanto?) minoranza religiosa presente sul nostro territorio. Può oggi, 8 marzo 2015, una donna italiana accettare che il proprio Stato ammetta e renda lecita una pratica sanitaria dalla portata meramente simbolica, che ha lo scopo di marchiare la donna ad una condizione di subordinazione rispetto all’uomo e alla società?