Donne a prescindere
È la festa delle donne madri, che per l’occasione si vedono spuntare nel salotto un ciuffo di mimose nel vaso donato dalla zia al matrimonio, o si imbattono in un biglietto d’auguri a pastelli colorati scritto dal figlioletto all’asilo.
È la festa delle donne studentesse, a cui i compagni di classe più audaci regalano la sempre apprezzata scatola di cioccolatini.
È la festa delle amiche, le quali si tengono libere la domenica pomeriggio per recarsi in spa o alle terme, disintossicando dal tran tran quotidiano corpo e spirito.
È la festa delle donne lavoratrici e delle donne casalinghe, alle prese con incombenze della più svariata natura, multitasking e schiave dell’orologio.
Festeggiamo anche le donne prostitute. Aggiungiamo convinti quel ‘donne’ prima della professione, perché esse non sono solo quello che fanno. Ci sono madri single che esercitano per arrotondare lo stipendio e garantire una vita dignitosa ai loro figli. Ragazze sradicate con l’inganno o la violenza dal loro paese di origine, trapiantate dalla malavita sul ciglio di una strada provinciale. Vi sono, perché no, donne alla ricerca di emozioni forti, esperienze trasgressive ed eccitanti.
Non stiamo distinguendo donne di serie A e di serie B. Così come è doveroso lottare perché uomini e donne percepiscano il medesimo stipendio e riconoscimento in ambiente lavorativo o accademico, non varrebbe la pena investire energie anche nella definizione e riconoscimento di diritti e doveri di questa categoria professionale tanto additata quanto apprezzata e sfruttata durante l’intera storia dell’umanità?
Iniziative così indirizzate con diversi gradi di successo sono oggi adottate in vari Paesi europei e non, ma la storia italiana non ne è digiuna.
Gli esempi sono molti, ma a voler andare qualche secolo indietro nel tempo ricordiamo, con un se si vuole malizioso sorriso sulle labbra, le donne curiali della splendida Roma rinascimentale. La loro attività era gestita direttamente dalla Curia romana, la quale rilasciava permessi di esercizio della professione, indicava le zone deputate, eseguiva periodici controlli igienici e riscuoteva pesanti tasse sui ricavi delle lavoratrici. Un sistema che permise di raccogliere somme di denaro successivamente investite nella creazione e restaurazione di opere pubbliche, esempio eccellente la Basilica di San Pietro. Paradossi, anacronismi, incongruenze che la Curia cercava di smussare obbligando le signore in questione a partecipare in prima fila alle messe domenicali per mondarsi dai redditizi peccati della carne.
Il fenomeno della prostituzione esiste da sempre, è la storia stessa ad affermarlo, mutevole nelle forme, costante nella presenza. Il sesso, insieme alla morte, è una delle cose alle quali l’essere umano non può rinunciare. Accantonate le belle retoriche, preso atto che il fenomeno non può essere estirpato, da dove partire per affrontare la questione?
I disegni e progetti di legge in materia di regolamentazione della prostituzione sono tra i più gettonati in Parlamento, tra il 2013 e il 2014 si contano, solo di dl, dodici presentazioni. La concretizzazione stenta ad arrivare. Si tratta pur sempre di materia difficile e complessa, ma per questo, come per tutti gli importanti percorsi di tal genere, è bene individuare dei cardini a cui stare ben stretti, o meglio ancora, un faro a cui puntare. Il faro in questione potrebbe portare il nome di ‘dignità’. E perché proprio quest’epiteto? Semplicemente perché dare dignità ad una persona significa riconoscerla, prendere atto della sua esistenza, della sua complessità, delle problematiche ad essa legate. Riconoscere socialmente una persona comporta il cucirle addosso libertà, diritti, tutele, assistenze, doveri, limiti.
Imprescindibile impostare il lavoro al servizio del più debole, del non tutelato. Essenziale slegarsi dalle bende di bigotti, ipocriti o utopistici giudizi morali, per mettere le persone interessate nella condizione di poter essere unità di misura della propria dignità.
L’augurio che l’8 marzo non sia solamente la festa dei fioristi che vendono mimose, ma la celebrazione della dignità della donna, di tutte le donne.