CAMBIARE NON E’ MIGLIORARE. AL PEGGIO NON C’E’ MAI FINE
Dice lo slogan delle Poste, in procinto di accedere in Borsa: “il cambiamento siamo noi”. Ecco, quando una parola o un concetto accede in modo certificato all’utilizzo pubblicitario come slogan, si ha la certificazione che quel concetto, quella parola, ha perso definitivamente il significato suo proprio, per divenire solo un modo di dire, qualcosa che attira l’attenzione, come una luce intermittente, ma nulla di più.
In effetti, la parola “cambiamento”da tempo è solo un vuoto lemma, fine a se stesso: da quando, cioè, la politica ha ritenuto che esso cambiamento fosse di per sé un bene o un valore.
Sia chiaro: non si vogliono certo giustificare posizioni conservatrici, se la “conservazione” sia il presupposto di tali posizioni sempre solo come uno slogan.
Il problema è che il “cambiamento” per il “cambiamento”, così come la “conservazione” per la conservazione”, non sono affatto di per sé valori positivi, nonostante la pubblicità reclamizzi il “cambiamento” come claim commerciale.
Quando cadde l’impero romano e si aprì la strada verso il medio evo, quello fu un cambiamento, è innegabile. Un cambiamento vi fu quando venne deposto lo Zar di tutte le russie dal bolscevismo. Anche l’Isis ha determinato il “cambiamento” dell’assetto politico nelle zone comprese tra Siria ed Iraq. Allo stesso modo, il Rinascimento fu un cambiamento, la rivoluzione industriale lo fu, come anche l’unità d’Italia e l’utilizzo su larga scala del personal computer prima, e della rete internet dopo.
Il “cambiamento” in quanto tale non è affatto un valore, ma un fatto della natura: l’acqua che scorre in un fiume non è mai la stessa, cambia il clima, passano le generazioni, cambia l’orbita della Terra, cambia ogni secondo anche se di poco l’assetto stesso del Cosmo.
Ciò che conta è come si conduce il cambiamento e verso quale fine lo si dirige: buono o utile, oppure cattivo o inutile.
La tensione verso il cambiamento in quanto tale (spesso manifestata anche nella ricerca del “moderno” ad ogni costo) finisce spessissimo per nascondere l’intento o l’esito, di solito pessimo.
Perché chi cerca un cambiamento per un fine realmente migliorativo, pensa al “modo” ed all’effetto della propria azione. Chi, invece, dal “cambiamento” trae solo un effetto egoistico o comunque non utile, non può che limitarsi ad esaltare il cambiamento per il cambiamento, senza parlare o curarsi della qualità di ciò che cambia, se cioè esso sia un peggioramento o un miglioramento della situazione da cambiare.