LE OPERE D’ARTE NON SONO FALDONI E VANNO SALVAGUARDATE.
Visti tanti film sul tema, avevamo l’idea che un museo fosse un luogo inviolabile, misto tra l’austerità ed il prestigio delle opere contenute e la modernità psichedelica dei sistemi di controllo.
L’immaginario collettivo è affascinato da allarmi volumetrici, invisibili raggi di luce che schermano e proteggono i capolavori, stuoli di guardie che controllano nelle sale, ma soprattutto nel chiuso di complesse cabine di regia, piene di monitor, telefoni, collegamenti satellitari, wireless e telefonici con tutte le centrali di sorveglianza, pronti a far scattare allarmi stridenti fino al cielo, con porte blindate che si chiudono all’improvviso e volanti e corpi specializzati capaci di accorrere in pochi minuti dal primo allarme.
L’incredibile furto di 17 capolavori al museo di Castelvecchio a Verona ci ha rivelato che le cose non stanno proprio così. Anzi, la realtà è estremamente distante dalla fantasia, pur ispiratrice di molte trame di successo.
Al di là della ferita gravissima alla cultura e alla memoria, il “colpo del secolo” nei furti d’arte mette in seria discussione la strategia di sicurezza esistente nell’intero Paese. E i dubbi sull’efficacia dei piani e degli strumenti posti a mettere al riparo luoghi e persone si fanno tanto più arrovellanti proprio in questi giorni di altissima tensione, successivi alla tragica notte di Parigi.
Se c’è un luogo che si reputa di per sé sicuro, quello è un museo. Perché è noto che il museo custodisce opere di valore così inestimabile che non può mancare una complessa rete di controlli e vigilanza.
Abbiamo scoperto, invece, che quanto meno nella fase di chiusura un museo è vigilato da appena due persone, come si trattasse di un qualsiasi ufficio pubblico burocratico, nel quale non si conservano capolavori, ma pratiche, carte, faldoni.
Anche se in queste ore non emergono dati, appare a tutti sufficientemente chiaro come questa situazione sia sicuramente figlia dei tagli alla spesa.
Contrariamente a quanto viene narrato, la spesa pubblica non è vero che non risulta tagliata. Almeno, quella degli enti locali. In effetti, quasi un quindicennio di dissennato patto di stabilità ha indotto le amministrazioni comunali, gestori di molti musei, a disinvestire e ridurre una serie di spese. Purtroppo, mentre alcune spese sono rimaste inalterate (contributi a pioggia, manifestazioni, comunicazione, uffici stampa, staff), altre hanno conosciuto uno stop. Il taglio ha riguardato, dunque, opere pubbliche e servizi essenziali. Si pensi alle condizioni delle scuole, altri enti di produzione della cultura, notoriamente da anni vittime di strette di cinghia sempre più soffocanti.
La domanda che ora tutti si pongono, senza esprimerla, ovviamente ora è: l’organizzazione della sicurezza certamente precaria e comunque rivelatasi piena di falle nella fase della chiusura del museo di Castelvecchio è un caso a sé, oppure riguarda altri musei, altri luoghi come chiese, stadi, stazioni, piazze, monumenti?
Le istituzioni ci informano che i sistemi di sicurezza in Italia sono sufficienti e vigili, soprattutto visto l’allarme di questi giorni. Non si può che fare affidamento su queste indicazioni e crederci fermamente, così da credere necessariamente che quanto accaduto a Verona sia frutto di una particolare abilità di professionisti super esperti.