LAUREA E UNIVERSITA’ SULLA BILANCIA DELLE VALUTAZIONI.
L’idea di subordinare nei concorsi pubblici la valutazione del voto di laurea anche ad una ponderazione del “peso” dell’ateneo di provenienza appare un modo molto malinteso di intendere principi “liberali” che vorrebbero l’eliminazione del valore legale del titolo di studio e l’assegnazione al “mercato” del compito di selezionare università e laureati migliori.
Si tratta di evidenti contraddizioni in termini. L’idea, come è noto, è stata introdotta attraverso un emendamento al disegno di legge delega di riforma della pubblica amministrazione, all’esame della Camera. L’emendamento prevede che la pesatura specifica del voto di laurea dovrà essere disciplinata con i decreti legislativi attuativi, “in rapporto a fattori inerenti all’istituzione che lo ha assegnato e al voto medio di classi omogenee di studenti”.
E’ facile evidenziare, però, che se si intende eliminare o ridurre il valore legale del titolo di studio, non ha alcun senso creare un sistema pubblicistico e burocratico di “rating” delle università ai fini della pesatura del voto di laurea.
Insomma, se si intende liberalizzare anche il valore della laurea, non è certo pensabile costruire un sistema pubblico che imponga alle amministrazioni datori di lavoro come soppesare i punteggi di laurea: si lasci fare come nel privato, dove le aziende utilizzano propri sistemi di rating e propri originali metodi di selezione del personale e di pesatura dei titoli.
D’altro lato, è da sottolineare il fiato corto di questa sorta di liberalizzazione della valutazione del voto di laurea nei concorsi pubblici. In primo luogo, perché il concorso è proprio lo strumento di valutazione e selezione del personale da assumere. Poiché sono le prove concorsuali a dover formare le graduatorie di merito, creare complicati sistemi (la cui nascita si può star certi aspetteremmo per anni) di pesatura delle università risulta davvero poco utile, considerando che comunque nei concorsi il punteggio dei titolo è sempre molto basso e incide pochissimo sugli esiti finali. In secondo luogo, perché moltissimi concorsi si espletano per soli esami, senza alcuna pesatura per i titoli; ciò vale in particolare per i concorsi finalizzati all’accesso alla dirigenza pubblica.
Dunque, l’idea oltre ad apparire un modo maccheronico di applicare principi di liberismo e privatizzazione del rapporto di lavoro, si rivela anche poco utile, perchè i titoli servono estremamente poco a selezionare funzionari e dirigenti pubblici.
Insomma, la creatività del legislatore che intende riformare la pubblica amministrazione meriterebbe miglior destinazione, posto che i problemi di efficienza del settore pubblico sono di tutt’altro genere e richiedono ben diverse soluzioni.
Luigi Oliveri