IL TEMPO DELLE CICOGNE
La ministra Lorenzin lancia il Fertilityday ed è polemica
di Giulia Tirapelle
Una settimana fa mi trovavo sul sedile anteriore di un’utilitaria con la testa che dondolava a destra e a sinistra seguendo le curve di una stradina in mezzo ai Nebrodi. Dietro di me la zia di mio padre, uno spirito allegro e vivace che smentisce a fatti l’età anagrafica. Tra le varie chiacchiere imbastite nel tragitto, ad un certo punto la zia fa: “La cosa pì bea nea vita xé fare un fiolo”. Lì per lì penso: mah, potrebbe anche avere ragione, ma non è proprio il tempo di verificarlo. Agli sgoccioli dei miei 24 anni di vita gli obiettivi sono: portare a casa la laurea, farmi una bella esperienza lavorativa all’estero, trovarmi un impiego che mi faccia svegliare la mattina senza il desiderio che la luce sfocata fuori dalla finestra sia quella che precede il coricarsi del sole. Questo in linea di massima, tra integrazioni e sfumature. Ed ecco che apro facebook e mi trovo davanti un rubinetto che sgocciola e la scritta “La fertilità è un bene comune”. Non capisco. Approfondiamo. Una bella ragazza con un sorrisino malizioso e una clessidra in mano, “La bellezza non ha età, la fertilità sì”. Inquietante. Continuiamo l’approfondimento. “Datti una mossa! Non aspettare la cicogna” e un uccello in controluce di profilo, ostaggio incolpevole da secoli di una favoletta. Ora, chi mi conosce, sa benissimo che una delle costanti della mia vita è l’ansia, soprattutto per il tempo che passa. Sicuramente sbaglio ed esagero, ma se ogni anno pagherei per saltare a pié pari il giorno del mio compleanno, gradirei che la mia paranoica sensibilità venisse comunque rispettata. Parlo per me anche se penso di interpretare, aldilà delle paranoie, il desiderio di molti. Il nostro governo sbandiera una propaganda, più che una campagna pubblicitaria, che ricalca con la carta carbone tanti discorsi che qualche decennio fa ammaliarono le orecchie di molti nonni.
La ministra Lorenzin, l’audace promotrice, nella tragi-comica intervista alla Stampa di oggi, alla provocazione del giornalista “Scusi ministro, ma il messaggio sembra: tu, donna, devi fare figli”, risponde: “Mi scusi, ma c’è scritto da qualche parte ‘Devi fare un figlio’ o ‘Devi partorire’?”. Alché nella mia testa i neuroni iniziano a rimbalzare confusi. Dev’esserci per forza un oscuro messaggio tra le righe, completamente diverso dal significato primo, palese ed evidente che queste locandine illustrano. I creativi vogliono mettere alla prova le abilità di comprensione del testo della popolazione italiana, non c’è altra spiegazione. Tuttavia la ministra, proseguendo con l’intervista, mostra il suo volto magnanimo, da maestrina che fornisce l’aiutino agli alunni perché un po’ se lo meritano: “Le cartoline non mi hanno fatto una cattiva impressione (…) se non funzionano abbiamo ancora il tempo di cambiarle”. Grazie maestra! La violenza psicologica, l’invasione nella sfera intima e privata dei cittadini, il mancato rispetto per il desiderio di realizzazione personale extra-familiare potranno tranquillamente essere cancellati in qualsiasi momento da una nuova (e forse costosa?) collezione di cartoline colorate, incentivanti, incoraggianti. Grazie maestra! Poi c’è il problema, marginale evidentemente, della precarietà lavorativa e della generale crisi economica. Le ostetriche hanno un lavoro sempre più arduo perché i bimbi cercano di prolungare il più possibile la permanenza nella placenta. Non è mica bello nascere con un peso fiscale sulle spalle stimato al centesimo per il solo fatto di piangere e immettere ossigeno nei polmoni. “E so che sul tema della natalità influiscono politiche del lavoro, fiscali, sociali. Ma io sono il ministro della Salute e mi occupo dell’aspetto sanitario”. Alziamo le mani. Se lei è il ministro e sa come stanno le cose, allora tutto a posto. Grazie maestra!