I CONTI DELLA SCUOLA NON SONO SLOGAN.
La riforma della scuola continua ad essere giustificata dal Governo con quegli slogan che il premier Renzi, nel suo video messaggio, ha invitato ad evitare.
Invece di affrontare il merito di una riforma dal chiaro sapore autoritario e di precarizzazione degli insegnanti, si continua ad affermare che essa è “buona” perché prevede lo stanziamento di 3 miliardi e l’assunzione di 100.000 precari.
Ma, tali due affermazioni altro non sono se non, appunto, solo slogan. Partiamo dall’assunzione dei precari. A parte il fatto che i precari storici sono 185.000 sicchè la tornata di assunzioni prevista sana la situazione lavorativa di poco più della metà degli interessati, bisognerebbe ricordare che le assunzioni cui si è impegnate il Governo non sono frutto dell’iniziativa autonoma dell’esecutivo.
L’Italia, infatti, è costretta letteralmente ad assumere i docenti precari della scuola in virtù delle recenti sentenze della Corte di Giustizia della Ue, che hanno censurato esattamente la normativa italiana, che ha fin qui consentito la reiterazione di incarichi di docenza a tempo determinato, violando le direttive comunitarie sulle garanzie per il lavoro a termine.
Quindi, l’assunzione dei precari non è una gentile concessione del Governo, bensì null’altro che l’adeguamento (per altro parziale) ad imposizioni della giustizia comunitaria.
Detto questo, quanto costa un dipendente pubblico? In media circa 30.000 euro l’anno. Vale anche per i docenti della scuola. Allora, proviamo a fare una semplice moltiplicazione: 30.000 euro di stipendio annui per 100.000 docenti assunti, quanto fa? 3 miliardi. Esattamente la cifra stanziata (non dal disegno di legge sulla scuola, bensì dalla legge 190/2014: 1 miliardo per il 2015 e 3 dal 2016) di cui il Governo tanto parla per evidenziare che intende “investire” sulle scuole.
Poiché molti degli insegnanti già gravano sul bilancio dello Stato, non tutti i 3 miliardi serviranno a pagare gli stipendi dei neoassunti, ma la gran parte sì. Quindi anche l’argomentazione dello stanziamento della spesa regge poco alla prova dei fatti ed è, appunto, solo propaganda per sviare dal merito.
Ci sarebbe da ricordare che tra i problemi urgenti delle scuole vi sono quelli delle manutenzioni, dei certificati di prevenzione incendi, dei lavori di ampliamento, dell’acquisto di arredi e strumenti di laboratorio. Ma di questi problemi il ddl nemmeno fa cenno. E pochi sanno che ad occuparsene sono i comuni, per le scuole fino alle medie, e le province per le superiori. Proprio quelle province che la riforma sta mandando tutte in dissesto e dunque, nell’impossibilità di garantire le manutenzioni anche minime: infatti già moltissime scuole per riparare maniglie, vetri, impianti, utilizza i contributi all’iscrizione, che invece dovrebbero servire per il potenziamento dell’offerta formativa.
Parlare di rilancio della scuola mentre si strozzano le province che dovrebbero garantire il coordinamento degli indirizzi didattici nel territorio e l’edilizia scolastica e vessando anche i comuni che a causa del patto di stabilità hanno a loro volta difficoltà enormi ad intervenire sulle strutture, può essere persuasivo solo per chi non ha voglia di sondare quali sono i problemi reali ed urgenti.