AUTUNNO TEMPO DI ALLUVIONI E LA STORIA SI RIPETE.
La puntuale replica di disastri e alluvioni ad ogni prima pioggia autunnale è diventata ormai una costante immancabile.
Un dato particolarmente di rilievo è che nei 25 anni lungo il corso dei quali il fenomeno è divenuto recrudescenze ormai i siti a particolare rischio sono colpiti più volte dallo stesso fenomeno.
Ultimo esempio, la città di Olbia, tornata sott’acqua ed in preda alle inondazioni nei giorni dopo il disastro di soli due anni fa.
L’incredibile è che dopo ogni disastro, a parte la conta dei danni e delle vittime e delle iniziali passerelle tecniche, non si è mai adottata alcuna decisione efficace per arginare il fenomeno. Ci si trincera con troppa superficialità dietro l’osservazione che gli eventi atmosferici sono più intensi rispetto a stagioni fa; ma slogan come la “bomba d’acqua” o la “pioggia killer” servono a poco.
I territori colpiti in modo regolarmente grave dai fenomeni alluvionali sono sempre quelli nei quali l’opera dissennata di costruzione e urbanizzazione ha reso i terreni deboli, con l’intubazione dei fiumi, il disboscamento, l’eccessiva densità delle costruzioni, la realizzazione di opere dentro alvei.
Olbia, come quasi tutta la Liguria litoranea, ne è l’esempio lampante: quasi l’intera città sorge su canali, fiumi, rigagnoli intubati. Per evitare l’alluvione, in queste condizioni, occorre sperare che non piova, affidandosi alla clemenza del clima. Ma, per quanto in Italia gli autunni siano mediamente miti, specie a certe latitudini, la media può essere sporcata da fenomeni di pioggia normalissimi, vista la stagione.
Di fatto, se ad Olbia si è ripetuto il disastro è perché la situazione, al di là delle parole – e stavolta ne sono state spese anche meno del solito, perché lo “storytelling” deve riguardare solo cose belle e buone – non si è fatto nulla. Anzi, in realtà nei 24 mesi che hanno separato le due alluvioni di cose ne sono state fatte: ad Olbia è stato costruito un ponte che faceva da tappo al corso di un fiume, scatenando così l’inondazione degli scorsi giorni; in Liguria, investita dalla furia delle acque nell’autunno del 2014 per la terza volta in pochissimi anni, nell’ordine prima si è rimossa dall’incarico una dirigente regionale che si era opposta alla creazione di un enorme insediamento commerciale in una zona alluvionale, poi si è candidata come presidente della Regione l’assessore regionale ai lavori pubblici coinvolta in inchieste giudiziarie su disastri ambientali relativi proprio a quelle alluvioni; infine, il ponte di Olbia è stato abbattuto.
Un paradosso dell’economia keynesiana afferma che in tempi di crisi lo Stato deve creare lavoro anche dove non c’è, spingendosi fino al far scavare buche per poi riempirle. Non sappiamo se a Olbia la costruzione e distruzione d i un ponte in pochi mesi abbia obbedito a questo precetto economico. Certo, sarebbe stato meglio evitare di demolirlo solo dopo essersi accorti che era l’ennesimo intervento urbanistico pericoloso per l’assetto del territorio.
Ci sarebbe modo e tempo di modificare le regole del patto di stabilità, consentendo di dirottare risorse che ancora si vogliono connettere a mega opere di utilità più che dubbia alla vera attenzione del territorio, previo definitivo allontanamento, senza aspettare sentenze penali, di chi possa pensare, autorizzare e costruire ponti come quello di Olbia. Il problema è, però, che proprio negli stessi giorni dell’alluvione in Sardegna più che parlare del ponte di Olbia, si rispolverava il ponte sullo Stretto.